L’incontro con Papa Francesco-. Con la sua parola, Papa Francesco ci ha preso per mano: ha valorizzato il cammino compiuto e ha additato priorità e modalità pastorali con cui proseguire. Ci ha messo in guardia da tutto ciò che rischia di oscurare in noi “il primato di Dio e del suo Cristo”, e che non permette di riconoscersi nella storia degli uomini né di portarvi il lievito della sapienza e della speranza cristiana. Abbiamo apprezzato – forse non senza una certa quale sorpresa – l’attualità di quanto cinquant’anni fa il Venerabile Paolo VI consegnava ai nostri predecessori. Il prossimo 19 ottobre Giovanni Battista Montini sarà proclamato beato. Già nel 1931 scriveva: “Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla verità per imitare così Gesù Cristo, come a me si conviene. Intendo per testimonianza la custodia, la ricerca, la professione della verità” (Colloqui religiosi, 1981). A questo esigente programma di vita rimase fedele sino alla fine, consacrato nel servizio alla Madre Chiesa. La sua prima enciclica – quell’Ecclesiam Suam che condensa il programma del suo ministero petrino – mi sembra che offra degli spunti anche per la revisione della nostra Conferenza: la necessità per la Chiesa di “approfondire la coscienza di se stessa, meditare sul mistero che le è proprio” (n. 10). Osserva, inoltre, che “non si salva il mondo dal di fuori…; bisogna, ancor prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell’uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo. Bisogna farsi fratelli degli uomini nell’atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri” (n. 90). In questo modo ha voluto dirci, da una parte, quanto la Chiesa “sia importante per la salvezza dell’umana società”, e dall’altra “quanto stia a cuore alla Chiesa che ambedue si incontrino, si conoscano, si amino” (n. 3). In filigrana non è difficile riconoscervi il filo conduttore di quanto il Santo Padre ci ha detto ieri sera; più ancora, non è difficile rinvenirvi alcune delle linee di fondo del suo stesso magistero. Entrambi sono stati posti dalla Provvidenza a guidare la Chiesa in stagioni di significativo cambio d’epoca: e se Paolo VI ha saputo portare a compimento con coraggioso equilibrio il Concilio Vaticano II, Papa Francesco ne prosegue l’applicazione, animato dalla ricerca delle forme più idonee con le quali annunziare Gesù Cristo nel nostro tempo. E non è forse la medesima tensione che ha accomunato nella santità Papa Roncalli e Papa Wojtyla? “L’eredità di Giovanni XXIII può ispirare ancora oggi una Chiesa chiamata a vivere la dolce e confortante gioia di evangelizzare, ad essere compagna del cammino di ogni uomo, «fontana del villaggio» alla quale tutti possono attingere l’acqua fresca del Vangelo”, ha sottolineato il Santo Padre in occasione della canonizzazione (Messaggio ai Bergamaschi). Nella stessa scia ha, quindi, ricordato come anche Giovanni Paolo II continui a ispirarci: “Ci ispirano le sue parole, i suoi scritti, i suoi gesti, il suo stile di servizio. Ci ispira la sua sofferenza vissuta con speranza eroica. Ci ispira il suo totale affidarsi a Cristo, Redentore dell’uomo, e alla Madre di Dio” (Messaggio ai Polacchi). È la vivente Tradizione nella quale ci muoviamo; è la verità che, come ci ha ricordato ancora il Santo Padre citando Papa Benedetto XVI, sostanzia la carità e ne fa “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (Caritas in veritate, 1). Questa continuità rende ancora più stringente il duplice appello di Papa Montini, rilanciatoci da Papa Francesco, all’unità ecclesiale e alla fedeltà al Concilio: non soltanto ai suoi contenuti, ma ad un’esperienza la cui “nota dominante” rimane la fraternità, vissuta nella “libera e ampia possibilità di indagine, di discussione e di espressione”. I nostri lavori si collocano in questo solco vivente e fecondo. Infatti, pur con le nostre fragilità e al di là dei temi specifici che di volta in volta i segni dei tempi affidano al nostro comunitario discernimento, è questa la disposizione che ci anima; è questa che ci rende pensosi, consapevoli e responsabili della ricchezza di cui diveniamo partecipi con il nostro incontrarci. Per nessuno di noi parole come confronto, partecipazione e sinodalità sono icone sociologiche o strategiche, bensì realtà che, mentre manifestano e rafforzano quanto già siamo, ci stimolano ad andare avanti con fiducia per rendere sempre più visibile il mistero amato della Chiesa. Del resto, è proprio questa esperienza d’appartenenza ecclesiale la condizione che consente al nostro ministero non soltanto di non cadere nell’irrilevanza in nome di un “eccesso di prudenza”, ma di continuare ad assicurare alla società il doveroso contributo di cui il Paese, comunque, è in attesa.
I luoghi indicati-. Al riguardo, ieri sera il Santo Padre ci ha additato i “luoghi” in cui la nostra presenza di Pastori oggi è maggiormente necessaria e significativa. Intendiamo abitarli con la forza discreta e coraggiosa della nostra identità missionaria, del nostro annuncio di fede e della nostra testimonianza di carità. Mi sia consentito di rovesciarne l’ordine e di richiamare innanzitutto la realtà dei migranti. Sotto i nostri sguardi si consuma l’esodo di popoli che guardano a noi come alla terra promessa: pur di giungervi, non esitano a mettersi nelle mani di mercanti di morte. A fronte di quanto sta accadendo – sciagure e drammi rispetto ai quali nessuno può rimanere indifferente – non basta l’indignazione occasionale. La nostra gente lo sa e risponde con la generosità del cuore. Penso a tante realtà diocesane, cresciute negli anni, impegnate quotidianamente sul fronte dell’accoglienza, dell’assistenza, della tutela dei cittadini stranieri, della loro dignità e sicurezza. Un’accoglienza semplice e cordiale, fatta di gesti concreti, che – grazie alla rete delle Parrocchie, delle Caritas diocesane, di Migrantes, di tante Associazioni – intesse l’ordito di una presenza capillare sul territorio, cui s’ accompagna anche un processo culturale, capace di evitare sia le semplificazioni che le paure ingiustificate. Entrambe sono forme di discriminazione. Sappiamo che le risposte immediate devono raccordarsi con interventi più articolati, che richiedono prospettive più ampie e risolutive. Per questo non possiamo rinunciare a dire alla politica – specialmente alla politica europea – la sterilità di polemiche che rimbalzano le responsabilità. Se l’Europa vuole presentarsi come “casa comune”, e non un insieme di interessi dove chi è più forte prevale, non può tirarsi indietro e guardare infastidita. Ricordiamo: nessuno si salva da solo. Serve altro per accordare vita e dignità a chi è in fuga dalla fame, dalla guerra, da regimi che soffocano la libertà politica, religiosa e ogni prospettiva di futuro. La vicenda delle studentesse nigeriane rapite non è che uno degli ultimi esempi. Le soluzioni non sono né facili da individuare, né a portata di mano: a maggior ragione è urgente e necessario fermarsi, capire, tener conto di tutti i fattori in gioco e giungere a scelte condivise ed efficaci. Mantenendo lo sguardo sul mondo, il cuore quasi si arresta di fronte ai drammi che affliggono moltitudini di poveri e indifesi in ogni angolo della Terra. Vicino a noi, la devastazione, causata da gravi inondazioni, di ampie zone dei Balcani; e la tragedia della miniera in Turchia ha fatto centinaia di vittime e colpito le loro famiglie: preghiamo per tutti, e perché, con ogni mezzo possibile, non si debbano mai più ripetere simili sciagure. A tale scopo, è anche necessario che non si impoveriscano le risorse per la sicurezza sui luoghi di lavoro. La persecuzione contro i cristiani, poi, continua indisturbata in molte parti del mondo: purtroppo, l’avanzare degli anni e il progredire della scienza non coincidono sempre con il progredire della coscienza. La Comunità Internazionale trovi voce forte e metta in campo azioni concrete per esigere che si ponga fine a questa vergognosa e pervicace inciviltà. Il secondo ambito ruota attorno al mondo del lavoro. Sappiamo – lo sanno bene le nostre comunità – quanto la congiuntura economica di questi anni abbia impoverito drammaticamente tanta gente, rubandole la dignità e rendendola bisognosa anche del pane quotidiano. A tutti è noto come la Chiesa italiana ha costantemente incrementato le risorse destinate alle Diocesi dai fondi dell’8xmille, soprattutto per favorire l’opera delle migliaia di Centri d’Ascolto disseminati su tutto il territorio: vere frontiere prese d’assedio dagli indigenti. Va da sé che tale risposta, pur importante, da sola non è in grado di agire sulle cause della precarietà lavorativa o della disoccupazione, che nel nostro Paese sta congelando un’intera generazione e desertifica la società dai giovani. Ancora una volta – rinnovando la fiducia nella collettività sociale e politica – facciamo appello alla responsabilità di tutti: in particolare chiediamo a chi ne ha la possibilità di tornare a investire con coraggio, accettando di affrontare i rischi di questa stagione, senza attendersi – specie nel breve tempo – grandi ritorni. Nel contempo, chiediamo che siano reali, efficaci e veloci le misure di agevolazione fiscale agli imprenditori disposti a coinvolgersi per creare lavoro.
Il terzo ambito, in realtà strettamente congiunto, è quello della famiglia. È grazie ad essa che, anche in questi anni sofferti, il tessuto sociale mantiene una propria stabilità. Generatrice e custode della vita in ogni fase del suo esserci poiché sacra e inviolabile, crogiuolo di generazioni, rimane l’impresa più importante del Paese. Essa genera quel “capitale umano” senza il quale non solo non vi è possibilità di benessere, ma – prima ancora – di società e di futuro. Nel suo seno si mettono insieme risorse, che in questa stagione di crisi si sono rivelate indispensabili, oltre a costituire un incalcolabile fattore di risparmio per lo Stato; ma, ancor prima e più ancora, in essa ognuno ritrova valori, fiducia e coraggio per portare la vita. Per questo nessuno può disertare questo “luogo”. Con fermezza, rispetto e insistenza torniamo a chiedere alle Autorità responsabili di avviare politiche che esprimano un sì convinto alla “famiglia senza surrogati”; politiche attente a renderne meno difficile e gravosa la formazione, quindi la generazione e l’educazione dei figli – specie se malati – , la cura e l’assistenza degli anziani…. Sono queste le vere necessità a cui dare risposte immediate e concrete. E altresì chiediamo che la famiglia, fondata sul matrimonio, non sia messa sotto scacco da una cultura insistente e monocorde, che pretende di “ridefinire” il volto stesso dell’amare favorendone la fragilità, anziché aiutarlo a superare – anche per il bene dei figli – le inevitabili prove. Snaturare la famiglia significa scendere nel più profondo, fino a toccare le corde dell’umano e sciogliere la persona dentro a rapporti liquidi e insicuri. Nella prospettiva della famiglia e delle nuove generazioni, e nel cuore del decennio pastorale sull’educazione, abbiamo vissuto l’evento La Chiesa per la scuola (10 maggio). Dietro una mobilitazione così significativa di ragazzi, di studenti, di insegnanti e di genitori, c’è stato il lavoro convinto e discreto di tanti: delle nostre Chiese, dei Sacerdoti e dei Consacrati, di tutti coloro che avvertono come la scuola sia un tassello decisivo nella costruzione della città dell’uomo, una condizione necessaria per aprirsi alla realtà così com’è, non come spesso viene rappresentata in modo virtuale. Un frutto di tale mistificazione, che guarda specialmente al mondo giovanile come a un pascolo succulento, è la piaga del gioco d’azzardo che, in termini di risorse, consuma molto di più di quanto porti alle casse dello Stato, basta pensare alla disintossicazione da questa dipendenza. Senza contare, inoltre, il danno che ne deriva da una concezione della vita e dei rapporti sociali in termini di scommessa anziché di quotidiano, onesto lavoro. I giovani sono costantemente ingannati e questo è un crimine. La giornata in Piazza San Pietro è stata una festa, un’occasione per rilanciare alleanze tra le diverse agenzie – la famiglia, la scuola, la stessa Chiesa – tra istituzioni chiamate a collaborare attorno a un progetto educativo condiviso: “L’educazione – ha sottolineato il Santo Padre – non può essere neutra: arricchisce la persona o la impoverisce, la fa crescere o la deprime, persino può corromperla”. La presenza diffusa nel Paese della scuola cattolica – se giustamente riconosciuta e sostenuta – è una garanzia di quanto il Santo Padre afferma e auspica. Sarà necessario riprenderne le parole anche nella preparazione al Convegno Ecclesiale che si celebrerà a Firenze (novembre 2015) dove vogliamo mettere in circolazione il più possibile confronti ed esperienze, speranze e progetti. In quel significativo contesto, sarà approfondita e rilanciata la centralità di quell’umanesimo integrale che trova in Gesù Cristo il suo svelamento e fondamento: “Cristo Signore (…) rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (Concilio Vaticano II, GS 22).
Comunione e comunicazione della fede-. Venerati Confratelli, i nostri lavori muovono da questo orizzonte. Vogliamo aiutarci ad essere sempre più – come Conferenza – “spazio vitale di comunione” che si nutre di ascolto, di relazioni di prossimità e di condivisione all’interno e tra Conferenze Regionali. Intendiamo servire l’unità della nostra Chiesa, quell’unità che è “dono e responsabilità”, e richiede il contributo propositivo di ciascuno ricordando l’esortazione dell’Apostolo: “Portate i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2). La grazia di Cristo, che rende possibile la pazienza fraterna, nutre la nostra carità nell’umile e onesta ricerca della migliore sintesi possibile. In questi giorni, dunque, siamo chiamati a lavorare essenzialmente su due dimensioni, inerenti al mistero stesso della Chiesa: rispettivamente, la comunione e la comunicazione della fede. Comunione al cui servizio è anche un ordinamento giuridico: lo Statuto della nostra Conferenza Episcopale ne è espressione, per un’azione più efficace e partecipata. L’invito del Santo Padre a confrontarci sulla sua revisione è stato accolto con prontezza, cordialità e impegno: ne sono segno i preziosi contributi pervenuti dalle Conferenze Episcopali Regionali e le stesse visite, condotte con generosa disponibilità, da S.E. Mons. Nunzio Galantino nostro nuovo Segretario Generale, al quale porgiamo il nostro cordiale e grato saluto. E ora siamo qui – insieme – per mettere in atto quel discernimento fraterno che ci porterà a individuare i passi da fare: insieme, liberi e sereni perché consapevoli di essere uniti nell’abbraccio dell’unico Signore e Maestro. Le considerazioni e le proposte, pervenute dal confronto episcopale nelle diverse Regioni Ecclesiastiche, sono state ricche e significative, frutto di una passione responsabile e consapevole dell’opportunità che ci è data. Non possiamo che rallegrarci e ringraziare il Pastore grande delle anime. Il Consiglio Permanente ha assunto l’ampio materiale in alcune sedute dedicate, ne ha fatto un discernimento collegiale rispettoso, arrivando ad alcuni orientamenti comunitari, tradotti poi in forme di emendamenti allo Statuto o al Regolamento. E ora, i frutti di questo lavoro saranno presentati alla saggezza della nostra Assemblea, perché tutto venga esaminato, eventualmente migliorato in forme correttive o nuove, e alla fine – se si riterranno i testi maturi – portato alla nostra decisione. In questo orizzonte di riferimento, tutto è aperto, sapendo che l’unico nostro intendimento non è affermare noi stessi, ma essere il più possibile obbedienti allo Spirito che guida il cammino dei singoli Pastori, come del Corpo Episcopale. La comunicazione della fede rinvia essenzialmente al confronto sugli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi. Siamo Chiesa missionaria, che dona all’uomo di oggi quanto ha di più prezioso: non una ricetta o una formula, ma una Persona. Cari Confratelli, grazie come sempre della vostra benevola attenzione. Nell’eco benefica e feconda delle parole del Santo Padre, che accompagneremo con la preghiera nel suo significativo pellegrinaggio ad Amman, Betlemme e Gerusalemme, ho cercato di introdurre i nostri lavori. Li affrontiamo sotto lo sguardo dei nuovi Santi Pontefici; sotto lo sguardo della Santa Vergine e di San Giuseppe. Essi fanno risuonare nei nostri cuori le parole del Risorto ai suoi discepoli: “Non temete, sono io” (Gv 6, 20). E noi, come gli Apostoli, lo prendiamo con gioia sulla nostra barca sapendo che, in realtà, è Lui che ci ospita nella dimora del suo cuore. a cura di Emanuela Graziosi