Attivisti e società civile a Lahore hanno promosso una manifestazione di piazza davanti alla sede dell’Alta Corte, per protestare contro la brutale lapidazione che ha ucciso la 25enne Farzana Parveen; la donna, incinta di tre mesi, è stata massacrata dalla famiglia all’esterno del tribunale nel contesto di un “delitto d’onore”, un evento comune nel Punjab dove avvengono centinaia di casi all’anno. Tassaduq Hussain Jillani, presidente della Corte suprema del Pakistan, ha convocato il procuratore generale del Punjab e chiesto il fascicolo di inchiesta, per prendere visione in prima persona degli atti. Analoghe manifestazioni si sono tenute anche a Islamabad, mentre il Primo Ministro Nawaz Sharif – dietro pressioni della comunità internazionale – ha definito l’omicidio “inaccettabile” e ha dato 24 ore di tempo agli inquirenti per arrestare i colpevoli. A Lahore esponenti della società civile chiedono l’applicazione delle leggi a tutela delle donne, ma finora non vi sono state risposte concrete e gli episodi di violenza – fra cui abusi e stupri – si ripetono con preoccupante frequenza. Secondo le ultime statistiche le violenze sessuali sono in aumento, tanto che negli ultimi cinque mesi si sono verificati già 13 casi (denunciati) di stupro ai danni di minori. L’ultimo è avvenuto nei giorni scorsi nel distretto di Bahawalpur, dove un uomo (già arrestato) di 65 anni ha violentato una bambina di otto. Commentando il brutale assassinio in famiglia di Farzana Parveen, l’attivista per i diritti delle donne Alia Saleem parla di “atto barbaro” e conferma “il dato crescente relativo alle violenze”; il dramma, aggiunge, è che “anche se qualcuno viene fermato, subisce una pena lieve e viene subito liberato”. Amaro anche il commento di p. Arif John, dell’arcidiocesi di Lahore, che sottolinea “la mancanza assoluta di rimorso” nel padre che ha ucciso la propria figlia. Sempre a Lahore, nella giornata di ieri si è tenuta una manifestazione del Comitato congiunto per i diritti delle persone per protesta contro la crescente intolleranza nel Paese e per chiedere giustizia per l’assassinio di Rashid Rehman. L’avvocato anti-blasfemia, da tempo nel mirino degli islamisti, è stato ucciso da un commando estremista la sera del 7 maggio scorso; finora i colpevoli sono rimasti impuniti e dalle indagini non emergono svolte significative.
All’iniziativa hanno aderito almeno 3mila persone, che hanno intonato slogan e canti contro l’estremismo di matrice confessionale. Essi chiedono giustizia e condannano la tendenza crescente a colpire quanti si battono contro le violenze, il fondamentalismo e le uccisioni mirate compiute in nome delle leggi sulla blasfemia. I.A. Rehman direttore della Human Rights Commission of Pakistan, chiede azioni “concrete” e “pragmatiche”; quando lo Stato non è in grado di proteggere i propri cittadini, aggiunge, i deboli, i poveri, gli emarginati, allora “gli attivisti per i diritti umani sono l’ultimo baluardo del diritto”. Gli fa eco Abid Hasan Manto, presidente del Partito dei lavoratori Awami, secondo cui lo Stato dovrebbe prendere provvedimenti seri contro i terroristi, ma “non è in grado di farlo, perché esso stesso intreccia relazioni [di varia natura] con i terroristi”. Con più di 180 milioni di abitanti (di cui il 97% professa l’islam), il Pakistan è la sesta nazione più popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo l’Indonesia. Circa l’80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il 20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani (1,6%) e sikh (0,04%). In molte zone del Paese vige una visione estrema e radicale della religione, basata sulla sharia (la legge islamica); le donne in alcuni casi non sono nemmeno considerate esseri umani, ma sono soggette alla volontà degli uomini di famiglia e costrette a matrimoni forzati anche in casi di minore età. di Jibran Khan – Shafique Khokhar