Una delle pandemie più temute dall’uomo per la sua forza distruttrice è sicuramente la peste bubbonica, diventata per secoli, nell’immaginario collettivo la ‘morte nera’. L’origine della peste è molto antica e, come il coronavirus, la SAR ed altre numerose epidemie, ha avuto origine in Cina per poi diffondersi nel resto del mondo.
Nel 1347 l’esercito dei Tartari stava assediando Caffa, scalo commerciale della città di Genova in Crimea. L’Asia da qualche anno era sconvolta dalla peste e il khan (sovrano) Ganibek decise di utilizzare i corpi dei soldati morti come veicoli della malattia mortale per espugnare la città, catapultandoli oltre le mura (in pratica, qualcosa di simile ad una moderna guerra batteriologica).
I marinai genovesi, scappando da Caffa, portarono la peste nei porti del Mediterraneo e da lì la malattia si diffuse in tutta l’Europa causando la morte di quasi un terzo della popolazione (fonte: Istituto superiore di Sanità).
E in Europa la peste vi rimase a lungo tornando ciclicamente per i successivi tre secoli. Presente in grandi opere artistiche e letterarie (basti pensar sposi’ di Alessandro Manzoni), ancora oggi, nonostante sia quasi completamente scomparsa, la peste rievoca immagini di orrore e di devastazione.
All’inizio del 1656 la peste bubbonica arrivò in Capitanata, che all’epoca faceva parte del Regno di Napoli. E fu una nave che trasportava derrate alimentari, proveniente dalla Sardegna, che, attraccando nel porto di Napoli con a bordo numerosi topi su cui vi erano pulci portatrici del famigerato batterio Yersinia pestis, divenne portatrice della nuova ondata mortale.
Dopo lo sbarco, le pulci passarono dai topi agli animali domestici e poi agli uomini, e Napoli venne devastata dalla peste che ben presto iniziò a dilagare nel resto del Regno.
La media dei morti per ‘lo gran morbo‘ passò in fretta da centocinquanta a millecinquecento al giorno nel giro di poche settimane.
“Fu grande pericolo per Manfredonia e Monte Sant’Angelo” racconta Pompeo Sarnelli, esimio storico e letterato pugliese, nonchè vescovo anch’egli vissuto all’epoca dei fatti.
Impotenti di fronte a tanta devastazione, gli uomini vedevano nella fede la sola arma di salvezza oltre che spirituale soprattutto fisica.
Crebbe a dismisura il culto di San Rocco, tanto che oggi non a caso troviamo sovente in Capitanata strade e Chiese dedicate al santo patrono degli appestati. Ed è in questo contesto che si verificò l’apparizione di San Michele (la quarta della storia dell’Arcangelo sul Gargano) all’Arcivescovo di Manfredonia, Giovanni Alfonso Puccinelli.
“Inoltratasi da Napoli, dove quattrocentomila morirono, la temuta pestilenza s’impossessò della Provincia di Capitana e tra le altre città cominciò a spopolare Foggia la più vicina a Siponto. Per la qual cosa l’Arcivescovo Puccinelli, si ritirò Gargano, per spargere ferventi preghiere al Santo Principe delle Celesti milizie, di cui era devotissimo. La pestilenza intanto, rotto ogni ostacolo, penetrò le viscere del Gargano, cioè nella terra di San Giovanni Rotondo, dove a primo colpo ne prostrò diciotto”.
L’arcivescovo allora iniziò a supplicare San Michele d’interporsi come mediatore fra gli uomini e Dio, affinché la Giusti divina cessasse “di scaricare il meritato flagello sopra di essi”.
L’Arcangelo ascoltò le preghiere del suo devoto arcivescovo e, nel mese di settembre, una notte in cui il vigilante Pastore pregava ferventemente, un terremoto scosse la stanza ed un lampo di luce lo avvolse di meraviglioso splendore, quindi una voce disse:
‘Sappi, che io sono Michele Arcangelo, che sempre assisto al cospetto di Dio, dal quale hoo impetrato, che chiunque con devozione adoprerà i sassi della mia Basilica nelle case, luoghi e Città, sarà libero dalla Pestilenza. Predica pertanto, e narra a tutti la gratia divina’.
Ciò detto disparve”.
Il giorno seguente l’Arcivescovo andò in piazza e disse ai fedeli di non avere più timore della pestilenza perché le pietre della grotta di San Michele sarebbero divenute un efficace antidoto.
Andò alla veneranda Basilica e ordinò si togliessero piccole schegge dalla pareti
“e in esse scolpì la Croce e il nome di Michele (S+M). Il giorno dopo radunò tutto il popolo, cui predicando disse: che chiunque avesse con esso seco uno di quei minuscoli sassolini non temesse punto la pestilenza, perché in virtù di San Michele ne sarebbe stato libero affatto“.
Ec dunque il detto montanaro: “a prete de SamMechele/ che ce ll’abbusche cj’arrecreje” (la pietra di san Michele,/ chi la riceve si salva).
Da tutti i paesi del Gargano giunsero richieste delle pietre miracolose ed iniziò proprio allora l’usanza di appore sui palazzi o incastonare nei muri delle abitazioni una nicchia (edicola) contenente la statua protettiva di San Michele Arcangelo, preferibilmente scolpita proprio nella pietra di Monte Sant’ Angelo.
La morte nera riservò dunque al Gargano un numero di morti molto esiguo, se paragonato alla devastazione nel resto del regno e alle migliaia di morti delle città dell’entroterra foggiano.
E per aviaria, SARS, coronavirus e tutte le epidemie che periodicamente si diffondono nel mondo seminando non resta che affidarsi alla scienza e, perché no, anche a San Michele.
Credito: Bon Culture