Oggi la Chiesa ricorda Beato Cipriano Nika
Beato Cipriano (Dedë) Nika è stato un sacerdote francescano e martire. Venne fucilato a Scutari l’11 marzo 1948, insieme al confratello Mati Prennushi e al vescovo Frano Gjini. Compresi tutti e tre nell’elenco dei 38 martiri albanesi, di cui fanno parte altri cinque frati e un vescovo francescani, è stato beatificato il 5 novembre 2016 a Scutari.
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La vita
Dedë (corrispondente all’italiano Domenico) Nika nasce a Scutari, in Albania, il 19 luglio 1900. Rimase orfano a cinque anni e frequentò le elementari e le medie nella scuola tenuta dai Frati Minori nella sua città, poi, come tutti quelli che desideravano andare avanti verso il sacerdozio, venne inviato a studiare Teologia in Austria.
Fu ordinato a Roma nel 1924. Il suo nome religioso era padre Cyprian (Cipriano). Nel 1937 divenne Provinciale della provincia francescana d’Albania e, nel 1943, assunse l’incarico di guardiano del convento di Scutari.
Una perquisizione sotto le cineprese
Proprio in quel periodo iniziarono le persecuzioni ai danni dei credenti di tutte le fedi, a opera del partito comunista: in particolare, l’accanimento in ambito cattolico era contro i gesuiti e i francescani, per la loro opera educativa e di preservazione delle antiche tradizioni popolari albanesi.
Un caso eclatante avvenne quando la polizia segreta di regime, la Sigurimi, scoprì un deposito di armi dietro l’altare di sant’Antonio nella chiesa di San Francesco a Gjiudahol, quartiere di Scutari. Il fatto, documentato da un filmato girato in presa diretta dalla televisione di stato jugoslava, alle dipendenze del dittatore Tito, era in realtà una messa in scena pianificata apposta per arrestare i frati.
Un’occasione per dare testimonianza
Anche padre Cyprian venne incarcerato e più volte sottoposto a torture. Lo racconta uno dei suoi compagni di prigionia, Ilir Bali:
«Il soldato aprì la porta della nostra cella con fragore di chiavi e si rivolse urlando al prete che si alzasse. Padre Nika, perso nella sua preghiera, non si preoccupò del soldato; non lo sentiva o non lo vedeva. Allora con una pedata portò brutalmente il prete fuori dai suoi sogni, proseguì con un urlo di ingiuria mentre i due altri soldati che attendevano sulla soglia della porta ridevano istericamente».
Il frate si alzò e, lentamente, si diresse verso la stanza delle torture. Dopo parecchie ore venne letteralmente buttato dentro la cella, dove Ilir Bali cercò di prendersi cura di lui lavando le sue ferite, poi gli chiese come stesse:
«Sto bene. Sto molto bene», rispose, con voce fioca, «Ho dato loro una testimonianza».
L’argomentazione di padre Cyprian
Bevve un sorso d’acqua, poi spiegò: «Gli ufficiali della Sigurimi mi hanno detto che volevano discutere scientificamente con me dell’esistenza di Dio. Erano in quattro. Non mi sono mai sentito più felice di allora: “Cyprian”, ho detto a me stesso, “ecco un’occasione di guadagnare l’amore e la misericordia dell’Altissimo”».
Basando la sua argomentazione sulla teologia di san Tommaso d’Aquino, professò anche la sua fede: «Come essere umano pensante, credo che esiste un “Qualcosa” dopo questa breve vita sulla terra, dove il bene e il male troveranno ricompensa e castigo. Un “Qualcosa” che superi i limiti della natura umana; un “Qualcosa” di sovrumano, soprannaturale in cui il male e l’ingiustizia non hanno posto…».
Ma la sua esposizione fu interrotta dalle torture: i soldati avevano perso la pazienza. Mentre il frate pregava: «Che sia fatta la Tua volontà», sentiva che uno dei persecutori diceva: «Il mio Dio è Enver Hoxha», il presidente e dittatore albanese.
L’altro prigioniero rispose che quella richiesta dei soldati era un’evidente presa in giro e che avrebbe dovuto cercare di sfuggire a un male simile. La replica di padre Cyprian fu: «Figlio mio, è vero, ma io ho anche una missione, più di altre in questo ambiente: devo tenere la lampada accesa ogni volta e in qualsiasi luogo sia spenta. Certamente, non è facile soffrire, ma la sofferenza, figlio mio, rende la vittoria più nobile».
Il martirio e la beatificazione
Padre Cyprian viene fucilato l’11 marzo 1948 a Scutari, in un fosso vicino a una vigna. Con lui, il confratello Mati Prennushi e il vescovo-abate di Sant’Alessandro a Orosh monsignor Frano Gjini. Le sue ultime parole, riportate nel verbale processuale, furono: «Viva Cristo Re! Perdoniamo i nostri nemici. L’Albania non muore con noi!».
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L’Ordine dei Frati Minori ha dato altri martiri alla Chiesa in Albania. Molti di essi sono compresi nell’elenco dei 38 beatificati a Scutari il 5 novembre 2016.
Redazione Papaboys
Fonte santiebeati.it – Autore: Emilia Flocchini