La chiesa di San Giuseppe, a Seriate (Bergamo), è piena di bare di persone morte in seguito all’epidemia di coronavirus. Il parroco Don Mario: “Viene da chiedersi dov’è Dio”. Le salme destinate alla cremazione vengono poi trasferite fuori regione dall’esercito, mentre saranno i carabinieri a consegnare le ceneri ai familiari.
È «drammatica» in Provincia di Bergamo la situazione delle Rsa e dei centri diurni che «in soli venti giorni hanno visto oltre 600 decessi su 6.400 posti letto»: così hanno scritto i responsabili delle strutture in una lettera di richiesta di sostegno indirizzata all’Ats e alla Regione. «Mentre scriviamo la situazione – si legge nella lettera del 25 marzo – continua ad evolvere in peggio. Siamo in ginocchio anche sul versante operativo perché quasi duemila dei cinquemila operatori risultano assenti per malattia, quarantena o isolamento».
Sono giorni che se ne parla.
E alla fine la situazione è diventata ingestibile.
Per le imprese di onoranze funebri della provincia di Bergamo infatti, è arrivato il momento di fermarsi «e tutelare così la vita e la salute dei cittadini», è quanto si legge in una nota della “Lia”, che raggruppa gli imprenditori del settore. «Nonostante gli appelli (inascoltati) dei giorni scorsi, l’assenza di un monitoraggio sanitario sugli operatori da parte delle autorità, e la difficoltà nell’approvvigionamento di dispositivi di protezione, continuano ad esporre la collettività, soprattutto anziani, malati e disabili, ad un enorme rischio di contagio», si sottolinea. «Nelle condizioni attuali, chi entra ed esce quotidianamente dalle strutture sanitarie e dalle abitazioni dei parenti dei defunti, diventa infatti non solo una facile preda, ma anche un veicolo perfetto per la diffusione del virus Covid-19. A costo di mettere a rischio il futuro delle loro stesse aziende, gli imprenditori della categoria seguiranno la propria coscienza, interrompendo le attività nel giorno di lunedì 30 marzo», si annuncia.