Padre Pier Luigi Maccalli racconta la sua prigionia
Il missionario parla del rapimento, della sua lunga prigionia nel deserto a cielo aperto…
(Fonte avvenire.it) La Società delle Missioni Africane, ha postato su Facebook un lungo video con il racconto di Padre Pier Luigi Maccalli, il sacerdote da poco liberato dopo una lunga prigionia.
“Il loro obiettivo era convertirmi all’Islam“, ha detto parlando dei rapitori che sostanzialmente lo hanno trattato bene ma esercitavano “soprattutto una pressione a livello psicologico”.
Maccalli è stato rapito alla fine di “un giorno tranquillo, stavo preparando la Messa per la mattina del giorno dopo, mi sono messo il pigiama“. Poi i rumori fuori dalla missione nel villaggio del Niger dove si trovava. “Ho un servizio di farmacia per la popolazione e ho pensato qualcuno ne avesse bisogno. Sono uscito e ho trovato uomini armati che mi hanno circondato, legato le mani e portato via” dopo avergli chiesto tutti i soldi che aveva a casa. I rapitori non parlavano il gurmancè, la lingua locale, “c’era uno solo che comprendeva qualcosa, erano mandriani fulani”.
Poi le pressioni per la conversione: “mi dicevano cose come: ‘stai per morire, andrai all’inferno, devi diventare musulmano”.
“Non ho rancore contro i miei rapitori perché non sanno quello che stanno facendo. Ci sono giovani che sono rimasti intrappolati in questa rete, sono indottrinati”.
Padre Maccalli ancora si commuove quando parla della sua prigionia nel deserto “in mezzo al nulla, senza punti di riferimento”. Giornate lunghe le cui uniche occupazioni era prepararsi qualcosa da mangiare e pregare “il rosario che mi ero costruito con una piccola corda“. “Ho pianto”, ammette, “mi sono sentito perduto, ho chiesto al Signore ‘dove sei?’. Mi sono arrabbiato con Dio ma sentivo che Lui era con me”.
“Dal 20 maggio avevamo una piccola radio, che ci venne offerta e abbiamo ascoltato i notiziari a Rfi, Radio Vaticana, Bbc per sentire altri, per vedere come il mondo andava avanti, perché la cosa più difficile era non avere contatti con il mondo esterno”.
Poi la liberazione, un lungo cammino con il cambio di mezzi, e anche “un piatto di spaghetti” la sera alla fine di una giornata in viaggio. Infine l’aereo militare che li ha portati a Bamako la capitale del Mali, e poi successivamente il ritorno a Roma accolti dalle autorità italiane.
“Continuiamo a pregare perché ci sono altri ostaggi, ho condiviso con loro le sofferenze, è dura, è lunga, è davvero difficile. Dobbiamo pregare Dio – conclude – perché siano forti, perché vada tutto bene”.