Il Papa ha incontrato i detenuti del carcere di Rebibbia
Grati al Papa per la vicinanza e la sua preghiera a sostegno della loro dignità
(di Giampaolo Mattei) Ieri mattina, dodici detenuti della terza casa circondariale di Rebibbia che hanno poi visitato i Musei Vaticani, hanno portato un cesto di pane fresco a Papa Francesco.
Quel pane lo hanno preparato la notte precedente, con le loro mani, proprio per dire “grazie” a Francesco «per il dono della speranza che sta offrendo a noi detenuti».
E, in un clima di famiglia, il Papa ha confidato loro proprio la sua attenzione alle persone che vivono l’esperienza della reclusione, ricordando le visite nelle prigioni già in Argentina, e assicurando la sua preghiera anche per i loro familiari.
«Oggi tutta la comunità del carcere, con il Papa, ha vissuto un’esperienza importantissima»: non nasconde l’emozione padre Moreno M. Versolato, religioso dei servi di Maria, cappellano nel più piccolo dei quattro poli del carcere romano. Sì, padre Moreno parla di «comunità» perché — insiste — «oggi qui, in Vaticano, siamo venuti insieme: dodici detenuti, la direttrice della terza casa circondariale di Rebibbia, Anna Maria Trapazzo, tre educatrici, agenti di polizia penitenziaria e due donne magistrato di sorveglianza».
Proprio la presenza dei due giudici Anna Vari e Paola Cappelli — fa notare il cappellano — ha un forte significato: «Sono loro a valutare e a firmare i permessi nei percorsi di reinserimento sociale, attraverso le misure alternative di semilibertà, ed è straordinario che oggi qui vivano, direttamente insieme ai detenuti, un’esperienza di bellezza che è “scuola di vita” per tutti».
Già, spiega con passione padre Moreno, «questi giovani sono cresciuti nelle periferie degradate o magari vengono da paesi lontani… insomma, hanno avuto, fin da piccoli, un’altra “scuola”…».
Al cappellano fa eco la direttrice dei «Musei del Papa», Barbara Jatta, che ha accolto con un cordiale «benvenuto» gli «ambasciatori» di Rebibbia: «Queste gallerie sono la casa di tutti, qui ognuno, con la propria sensibilità, può cogliere “qualcosa” che vale per la sua vita e la può rendere migliore. Oggi con grande gioia i Musei Vaticani — dice la direttrice — si presentano e si propongono ai detenuti e a coloro che li accompagnano come ispirazione alla bellezza che tocca l’anima nel profondo».
La visita ai Musei ha ancor più significato, riprende padre Moreno, «perché in questo periodo di pandemia i detenuti hanno sofferto moltissimo l’isolamento e l’emarginazione per l’impossibilità di abbracciare i propri cari». Sono situazioni estreme, davvero «al limite» — racconta — ed è facile cedere alla tentazione di dar spazio a conflitti e rabbia. E il pensiero, aggiunge, va anche a tutto il personale di servizio.
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«Posso testimoniare, da cappellano, quando grande e sincero sia l’affetto delle persone detenute per Papa Francesco» rilancia il religioso. «Stamani lo abbiamo personalmente ringraziato, tutti insieme, per la vicinanza che ci dimostra continuamente e in occasioni diverse». Il dono delle colombe a Pasqua, aggiunge, è stato per tutti una sorpresa. «Ma il grazie più grande — conclude il cappellano — è per la sua preghiera e per le sue richieste alle autorità politiche perché mutino sempre più le condizioni di detenzione soprattutto dove la dignità della persona è costantemente violata».
Al termine della mattinata in Vaticano la direttrice del carcere parla di un’esperienza di accoglienza e di speranza: «Il dono del pane per il Papa ha un valore enorme per noi: in pieno lockdown abbiamo avviato un laboratorio di panificazione e sette detenuti sono stati assunti da una ditta. Il pane fatto stanotte per Francesco è, dunque, un “grazie”. E anche il dono della “mattonella” con la croce, espressione del corso di mosaico, non è un gesto formale ma un segno di fede e di speranza».
“Nella tempesta la preghiera ci salva..”
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