Le diocesi italiane sono pronte ad accogliere i cristiani perseguitati in Iraq. Il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, lo ha detto in un’intervista pubblicata oggi dal Corriere della Sera. Paolo Ondarza ha intervistato il direttore di Caritas Italiana, don Francesco Soddu:
R. – Innanzitutto, quanto il cardinale ha detto ci riempie di infinita gioia, perché non fa altro che manifestare un’opera che la Caritas in quanto organismo della Chiesa italiana già mette in atto quotidianamente. Per quanto riguarda i nostri fratelli e sorelle di cui ha parlato il cardinale, ci stavamo già impegnando con la rete di Caritas Internationalis sul luogo, per una pronta accoglienza. Come dicevo, questo ci riempie di infinita gioia, perché ci dà la possibilità e l’opportunità di investire per l’accoglienza la rete delle 220 Caritas presenti in Italia.
D. – Faceva riferimento al coordinamento che avete con Caritas Internationalis. Dalle notizie che ricevete, qual è la situazione in Iraq nelle ultime ore?
R. – C’è una continua affluenza di profughi soprattutto al confine. Le testimonianze che ci arrivano in questi giorni non sono solamente di gravissime ingiustizie, ma addirittura racconti che possono sembrare al limite della realtà. Ingiustizie perpetrate nei confronti di persone che chiedono semplicemente un diritto all’esistenza e alla professione della propria fede.
D. – Ieri, un nuovo appello del Papa a porre fine a questo dramma umanitario in Iraq: “La violenza non si vince con la violenza”, dice Papa Francesco, “ma con la pace”. Come possono essere messe in pratica queste parole?
R. – Prima di tutto, non costruendo e non fornendo delle armi. Dal non possesso delle armi si ha l’acquisizione dei beni principali primari quali il pane e, di conseguenza, la pace. Queste sono le tre parole chiave: non armi, pane e pace.
D. – È di queste ultime ore la decisone degli Stati Uniti di dare il via al lancio di aiuti umanitari a favore della popolazione irachena in difficoltà. Il presidente Obama ha autorizzato anche raid mirati per colpire i terroristi. È reale il rischio che da una tragedia possa nascere qualcosa di più grave e devastante?
R. – Il rischio c’è. Comunque, bisogna raccogliere quello che i pastori del luogo hanno lanciato con un accorato appello. Leggo in quegli appelli disperazione e l’esortazione affinché il mondo non stia a guardare. Il non stare a guardare non significa che, contestualmente, bisogna per forza di cose dare nuovamente luogo a una guerra, ma fare di tutto, tutto ciò che purtroppo non è stato ancora messo in atto, come il dialogo, la partecipazione unanime delle nazioni. Non è possibile stare lì a guardare le immagini terribili di una nuova guerra che si sta accendendo in Iraq.