La domenica è diventata giorno festivo, con l’astensione dal lavoro solo nel IV secolo dopo Cristo, ma fin dal tempo degli apostoli è stata vissuta dai cristiani come giorno di gioia: gioia perchè il mondo è stato creato, gioia perchè stato rinnovato dall’azione redentrice di Cristo, gioia perchè su questo giorno si riflette la luce delle Resurrezione di Cristo, gioia perchè anticipa sulla terra la felicità del Regno dei cieli.
La gioia della domenica è provocata dall’incontro con Gesù Risorto. Come avvenne alla sera di quella prima domenica, quando il Risorto apparve nel cenacolo e “i discepoli gioirono al vedere il Signore” (1). Da quella prima domenica, la gioia ha sempre caratterizzato la “Pasqua settimanale”.
È infatti una gioia pasquale quella che, esplosa dal sepolcro vuoto, attraversa tutta la storia e giunge a noi nell’incontro con Cristo, all’interno della celebrazione eucaristica domenicale: “Cristo con la sua Resurrezione dai morti ha fatto della vita degli uomini una festa” (2).
La festa della domenica non si esprimeva in una gioia intimistica, ma coinvolgeva anche il corpo. In uno dei più antichi testi della letteratura cristiana, L’Insegnamento degli Apostoli, ai cristiani si raccomanda: “La domenica è un giorno in cui dovete stare nella gioia, perchè chi si affligge di domenica commette peccato“.
Sant’Ambrogio scrive: “La domenica si celebra la festa della resurrezione: in questo giorno non possiamo digiunare. Chi digiuna di domenica è come se non credesse all Resurrezione di Cristo“.
Sant’Ireneo scrive: “Il non inginocchiarsi durante il giorno del Signore è un simbolo della resurrezione per la quale, grazie a Cristo, siamo stati liberati dai peccati e dalla morte, da Lui distrutta“.
In un testo della liturgia dei cristiani Maroniti si proclama: “Sia benedetto Colui che ha elevato il grande giorno della domenica sopra tutti i giorni. Il cielo e la terra, gli angeli e gli uomini s’abbandonano alla gioia“.
Se la domenica è il giorno della gioia, è necessario che il cristiano dica con la sua vita che non si può essere felici da soli. Egli è chiamato a guardare con occhi d’amore coloro che lo circondano e a farsi vicino soprattutto ai sofferenti, alle persone sole o bisognose.
Vissuta così, la domenica si trasforma in un giorno della carità: invitare a pranzo qualche persona sola, condividere quanto si possiede con chi è povero, visitare gli ammalati, offrire il proprio tempo nel volontariato, aderire ad iniziative di solidarietà.
In questo modo, il Cristo che si riconosce e si accoglie nella celebrazione eucaristica viene riconosciuto e accolto nella persona dei più poveri, così come Egli ha insegnato a fare.
È un controsenso che nel nostro tempo in cui l’industria del divertimento lavora a ritmo battente e si vanno moltiplicando i luoghi e le occasioni di festa, dal cuore di molti cristiani vada scomparendo la gioia.
L‘uomo, vestito a festa, se diventa capace di fare festa, finisce con il chiudersi in un orizzonte che non gli consente più di vedere il cielo e di apprezzare la vita. La domenica deve far rifiorire nei cuori la bellezza della gioia cristiana, basata più sulla gioia del dare che del ricevere.
NOTE AL TESTO
1. Vangelo secondo San Giovanni – 20,20;
2. Basilio di Seleucia.