PAPA IN COREA – Nel suo primo discorso ufficiale, nel Palazzo Presidenziale di Seoul, il Papa ricorda che “un popolo grande e saggio non si limita ad amare le sue antiche tradizioni, ma valorizza anche i giovani”
Giovani e antenati. Su un filo che corre nel corso del tempo si snoda la visita apostolica di papa Francesco in Corea. Durante il suo primo discorso ufficiale, iniziato alle 8.45 ora italiana nel Palazzo Presidenziale di Seoul, il Santo Padre ha spiegato che la sua presenza nel Paese asiatico “avviene in occasione della VI Giornata Asiatica della Gioventù, che raduna giovani cattolici” provenienti da tutto il continente “per una gioiosa celebrazione della fede comune”. E ancora, ha sottolineato il Papa, nel corso della visita egli proclamerà beati “alcuni coreani che morirono martiri per la fede cristiana: Paul YunJi-chung e i suoi 123 compagni”.
Due celebrazioni che – per usare le stesse parole utilizzate dal Pontefice stamani – “si completano a vicenda”. Per i cattolici, infatti, è ben vivida l’importanza che assume in primo luogo l’onore verso gli antenati che hanno subito il martirio per la fede, “perché – ha spiegato Francesco – sono stati pronti a donare la vita per la verità in cui hanno creduto e in conformità alla quale hanno cercato di vivere”. Sono, per noi contemporanei, un modello di vita vissuta pienamente “per Dio e per il bene del prossimo”.
Tuttavia, “un popolo grande e saggio – ha aggiunto il Papa – non si limita ad amare le sue antiche tradizioni, ma valorizza anche i giovani”, a cui trasmette “l’eredità del passato e di applicarle alle sfide del tempo presenze”. Un evento come la Giornata Asiatica della Gioventù si pone dunque come “preziosa occasione” per ascoltare “le speranze e le preoccupazioni” dei giovani. E, dato il contesto storico attuale – ha aggiunto il Vescovo di Roma -, è “particolarmente importante” riflettere sulla necessità di “trasmettere ai nostri giovani il dono della pace”.
Un appello, quello nei confronti della pace, che “ha un significato del tutto speciale qui in Corea”, terra che “ha sofferto lungamente a causa della mancanza di pace”. Papa Francesco ha colto così l’occasione per esprimere apprezzamento “per gli sforzi in favore della riconciliazione e della stabilità nella penisola coreana”; sforzi ritenuti “l’unica strada sicura per una pace duratura”. La quale avrebbe dei risvolti tali da travalicare i confini coreani, giacché avrebbe influenza sull’intera area del Sud-Est asiatico e – ha aggiunto il Pontefice – “sul mondo intero, stanco della guerra”.
Il cuore del Papa è in queste ore, a causa dei tanti e gravi conflitti in corso in varie zone del pianeta, “carico e angosciato”, come lui stesso ha scritto nella lettera inviata al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. È per questo che insiste sul tema della pace, che definisce “una sfida per ciascuno di noi e in particolare per quelli tra voi che hanno il compito di perseguire il bene comune della famiglia umana attraverso il paziente lavoro della diplomazia”. Solo mediante i loro sforzi si possono “abbattere i muri della diffidenza e dell’odio” e promuovere “una cultura di riconciliazione e di solidarietà”. Sforzi che debbono basarsi su “ascolto attento e discreto” piuttosto che sulle “critiche inutili e dimostrazioni di forza”.
Significativo che poche ore prima di queste parole, contestualmente all’arrivo del Papa a Seoul, dalla Corea del Nord sono stati lanciati alcuni missili caduti in mare. Gesti che non confortano, ma – come il Papa ha specificato citando Isaia – “la pace non è semplicemente assenza di guerra, ma opera della giustizia” (cfr. Is 32,17). E “la giustizia, come virtù, fa appello alla tenacia della pazienza”. Giustizia che si nutre della capacità di esercitare il “perdono”, nonché la “tolleranza e la cooperazione”. È solo così che possono costruirsi “le fondamente del mutuo rispetto, della comprensione e della riconciliazione”.
Il Papa si è dunque rivolto alle autorità coreane presenti in sala: “Cari amici, i vostri sforzi come leader politici e civili sono in ultima analisi diretti a costruire un mondo migliore, più pacifico, più giusto e prospero, per i nostri figli”. La Corea, nel cuore del discorso del Santo Padre: “Come la maggior parte delle nazioni sviluppate, la Corea si confronta con rilevanti problematiche sociali, divisioni politiche, diseguaglianze economiche e preoccupazioni in ordine alla gestione responsabile dell’ambiente”. Il monito del Pontefice è che venga ascoltata “la voce di ogni membro della società”. Ugualmente importante, inoltre, è dare “speciale attenzione ai poveri, a coloro che sono vulnerabili e a quelli che non hanno voce, non soltanto venendo incontro alle loro immediate necessità, ma pure per promuoverli nella loro crescita umana e spirituale”. La speranza del Papa è che “la democrazia coreana continuerà a rafforzarsi e che questa nazione dimostrerà di primeggiare anche in quella ‘globalizzazione della solidarietà’ che è oggi particolarmente necessaria”.
Infine, prima di salutare la presidente della Corea del Sud, Park Geun-hye, il Santo Padre ha riavvolto i fili del passato, tracciando una linea di continuità con la visita di Giovanni Paolo II in Corea, nell’ottobre 1989. “Il futuro della Corea – affermò papa Wojtyla – dipenderà dalla presenza in mezzo al suo popolo di molti uomini e donne saggi, virtuosi e profondamente spirituali”. Francesco ha voluto far eco a queste parole, assicurando ai coreani il “costante desiderio della comunità cattolica coreana di partecipare pienamente alla vita della nazione”.
Tornando quindi ai due temi evocati all’inizio del suo discorso – giovani e anziani – il Vescovo di Roma ha spiegato che “la Chiesa desidera contribuire all’educazione dei giovani, alla crescita di uno spirito di solidarietà verso i poveri e i disagiati e contribuire alla formazione di giovani generazioni di cittadini, pronti ad offrire la saggezza e la lungimiranza ereditate dai loro antenati e nate dalla loro fede, per affrontare le grandi questioni politiche e sociali della nazione”. Al termine, il Papa ha invocato la benedizione per “l’amato popolo coreano” e per “gli anziani e i giovani che, preservando la memoria e infondendoci coraggio, sono il nostro più grande tesoro e la nostra speranza per il futuro”. di Federico Cenci per Zenit.org
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