I genitori del 12enne erano tornati a rivolgersi alla Corte per consentire un esame del caso da parte del Comitato Onu per i diritti delle persone con disabilità (Unrpd).
Il collegio chiamato a pronunciarsi sull’istanza – formato dal giudice Andrew McFarlane, presidente del sezione diritto di famiglia della Corte d’appello d’Inghilterra e Galles, e dai colleghi Eleanor King e Andrew Moylan – ha liquidato seccamente la richiesta negando alcun ruolo giurisdizionale nel Regno Unito al Comitato Onu per i diritti delle persone con disabilità (Unrpd).
Alle 13 di oggi la fine
E ha concesso ai genitori meno di 24 ore per verificare adesso la possibile ammissibilità del caso presso istituzioni giudiziarie internazionali riconosciute (come la Corte europea di Strasburgo per i diritti dell’uomo, che peraltro già in passato ha rigettato ricorsi analoghi delle famiglie); o altrimenti lasciare che i medici procedano a interrompere la ventilazione assistita che tiene in vita Archie.
McFarlane ha ribadito l’avallo della giustizia britannica alla diagnosi di morte probabile delle cellule cerebrali avanzata da tempo dai sanitari che hanno in cura il bambino. “Ogni giorno che egli continua a ricevere trattamenti vitali” è un giorno di agonia in più, “contrario” a ciò che la Corte ha stabilito essere “il suo miglior interesse”, ha proseguito l’alto magistrato, escludendo allo stato ulteriori rinvii: “anche brevi”. Non senza sottolineare come l’Unrpd sia frutto di un trattato che “non ha personalità giuridica” e non abbia titolo a essere coinvolto “nel processo decisionale non essendo soggetto di diritto nel Regno Unito”.
La madre di Archie, Hollie Dance, sostenuta anche da gruppi pro life, aveva in precedenza denunciato invece il rifiuto di concedere un proroga sostanziale come un abuso, tornando a puntare il dito contro medici e giudici, accusati d’ignorare persino nelle forme il dolore straziante della famiglia, e di aver redatto per iscritto una sorta di “ordine di esecuzione” modello condanna a morte.