Non sono solo quelle scavate dai bulldozer, in cui i soldati sperano di scamparla, le trincee che alzano un argine contro il nemico. Ne esistono di più impalpabili, le trincee “ideologiche”, in cui a ripiegare dentro non sono esseri umani ma i conflitti stessi, col risultato di non potervi mettere fine. Barriere che fomentano “la crescita di polarizzazioni ed estremismi che ci impediscono di costruire e di riunirci in un “noi” comune”. La preoccupazione del Papa prende forma nel messaggio ai partecipanti alle Giornate di Pastorale sociale organizzate dall’Arcidiocesi di Buenos Aires, giunte al traguardo dei 25 anni, dal titolo “La nazione come comunità di destino”.
Il bene comune è più dei beni dei singoli
Nel testo letto sabato scorso durante i lavori, Francesco si dice lieto di un appuntamento che entra nella realtà concreta, quella di un passato di pandemia e di un presente gravato dalla minaccia nucleare e da crisi sistemiche – da quella migratoria a quella ecologica – che portano con sé una scia di conseguenze cercando di agire con una “attenzione creativa” ai problemi e soprattutto una grande attenzione all’uomo. Tuttavia quello che balza agli occhi, afferma, l’erosione del “senso di appartenenza capace di rompere la tirannia della divisione e dello scontro per rendere possibile, con tutte le legittime differenze che possono esistere”, la “ricerca del bene comune, che è molto più della somma dei beni individuali”.
Oltre la dialettica del confronto
Se la polarizzazione, osserva Francesco, “corrode qualsiasi tentativo di soluzione” creando “solo disagio e incredulità”, “è imperativo – prosegue – recuperare la nostra capacità di dialogo, cioè di avvicinarci, ascoltarci, conoscerci e riconoscerci per trovare punti di contatto che ci aiutino a trascendere”. E per aiutarci a vicenda, indica, “dobbiamo dialogare” sviluppando “una cultura dell’incontro che vada oltre la dialettica del confronto”. Si tratta di “uno stile di vita, di cultura e di cittadinanza che tende a formare quel poliedro che permette di avere molte sfaccettature senza perdere la sua unità”. Ben sapendo, conclude, che lo sforzo in questa direzione non è compiuto in solitaria ma all’interno della Chiesa, “che è gloriosa perché è una storia di sacrifici, di speranza, di lotta quotidiana, di vita logorante nel servizio, di costanza nel lavoro che stanca, perché tutto il lavoro è sudore della fronte”.