“Come il cieco, sappiamo vedere il bene ed esser grati per i doni che riceviamo? Testimoniamo Gesù oppure spargiamo critiche e sospetti? Siamo liberi di fronte ai pregiudizi o ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi? Siamo felici di dire che Gesù ci ama e ci salva oppure, come i genitori del cieco nato, ci lasciamo ingabbiare dal timore di quello che penserà la gente?” e poi come accettiamo le sofferenze e le persone ai margini, chiede il Papa, le accogliamo “come maledizioni o come occasioni per farci vicini a loro con amore?” Sono le domande che Papa Francesco pone ai fedeli dopo il commento alla liturgia di oggi che riporta il brano evangelico della guarigione del cieco nato.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi il Vangelo ci mostra Gesù che ridona la vista a un uomo cieco dalla nascita (cfr Gv 9,1- 41). Ma questo prodigio è accolto in malo modo da varie persone e gruppi. Vediamo nei particolari. Anzitutto ci sono i discepoli di Gesù, che di fronte al cieco nato si chiedono se la colpa sia dei genitori o sua (cfr v. 2). Cercano un colpevole ; è comodo cercare un colpevole, anziché porsi domande più impegnative , come ad esempio: cosa significa per noi la presenza di quest’uomo, cosa chiede a noi? Avvenuta la guarigione, le reazioni aumentano. La prima è quella dei vicini, che sono scettici: “Quest’uomo è sempre stato cieco: non è possibile che ora veda, non può essere lui!” (cfr vv. 8-9). (…) Poi c’è la reazione degli scribi e dei farisei, i quali obiettano: “Quest’uomo è stato guarito in giorno di sabato, contro la legge”. Per loro è inaccettabile, meglio sarebbe stato lasciare tutto come prima (cfr v. 16). Infine ci sono i genitori dell’uomo guarito.
Essi hanno paura, temono le autorità religiose e non si pronunciano (cfr vv. 18-21). In tutte queste reazioni, emergono cuori chiusi di fronte al segno di Gesù, per motivi diversi: perché cercano un colpevole, perché non sanno stupirsi, perché non vogliono cambiare, perché sono bloccati dalla paura.
L’unico che reagisce bene è il cieco: felice di vedere, testimonia quanto gli è accaduto nel modo più semplice: «Ero cieco e ora ci vedo» (v. 25). (…) Prima era costretto a chiedere l’elemosina e subiva i pregiudizi della gente: “è povero e cieco dalla nascita, deve soffrire, deve pagare per i suoi peccati o per quelli dei suoi antenati”. Adesso, libero nel corpo e nello spirito, rende testimonianza a Gesù: non inventa nulla e non nasconde nulla. (…) Non ha paura di quello che diranno gli altri: il sapore amaro dell’emarginazione lo ha già conosciuto per tutta la vita, ha già sentito su di sé l’indifferenza e il disprezzo dei passanti, di chi lo considerava come uno scarto della società, utile al massimo per il pietismo di qualche elemosina.
Ora, guarito, quegli atteggiamenti sprezzanti non li teme più, perché Gesù gli ha dato piena dignità: di sabato, davanti a tutti, lo ha liberato e gli ha donato la vista senza chiedergli nulla, nemmeno un grazie, e lui ne rende testimonianza.
Fratelli, sorelle, con tutti questi personaggi il Vangelo odierno mette anche noi nel mezzo della scena, così che ci chiediamo: che posizione prendiamo, che cosa avremmo detto allora? E soprattutto, che cosa facciamo oggi? Come il cieco, sappiamo vedere il bene ed esser grati per i doni che riceviamo?
Testimoniamo Gesù oppure spargiamo critiche e sospetti? Siamo liberi di fronte ai pregiudizi o ci associamo a quelli che diffondono negatività e pettegolezzi? Siamo felici di dire che Gesù ci ama e ci salva oppure, come i genitori del cieco nato, ci lasciamo ingabbiare dal timore di quello che penserà la gente?
E ancora, come accogliamo le difficoltà e le sofferenze degli altri? Come maledizioni o come occasioni per farci vicini a loro con amore?
Chiediamo la grazia di stupirci ogni giorno dei doni di Dio e di vedere le varie circostanze della vita, anche le più difficili da accettare, come occasioni per operare il bene, come ha fatto Gesù col cieco. La Madonna ci aiuti in questo, insieme a San Giuseppe, uomo giusto e fedele.