È stata impiccata a mezzanotte Reyhaneh Jabbari, la giovane iraniana condannata a morte nel 2009 per avere ucciso l’uomo che tentava di stuprarla. Inutile la mobilitazione internazionale per salvarla, che ha visto in prima linea Amnesty International. Proprio ieri, venerdì, la madre aveva lanciato un ultimo appello disperato. “Intervenite al più presto – aveva detto Sholeh Pakravan – fate qualcosa per salvare la vita di mia figlia”.
Reyhaneh, 26 anni, era stata arrestata nel 2007 per l’omicidio di Morteza Abdolali Sarbandi, un ex dipendente dell’intelligence di Teheran, che l’avrebbe attirata nel suo appartamento con la scusa di offrirle un incarico e poi avrebbe tentato di abusare di lei. Nel 2009 il tribunale aveva deciso la condanna a morte. Il relatore dell’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu aveva denunciato che il processo era stato viziato da molte irregolarità e non aveva tenuto conto che si era trattato di legittima difesa di fronte a un tentativo di stupro.
Il 30 settembre scorso la madre della ragazza aveva lanciato un appello anche alle autorità italiane per la salvezza della figlia. All’appello avevano risposto il ministro degli Esteri Federica Mogherini e altre autorità politiche e religiose. Una campagna per salvarla era stata lanciata su Facebook e Twitter il mese scorso e, in un primo momento, sembrava che avesse portato a una sospensione temporanea dell’esecuzione.
Il perdono della famiglia della vittima avrebbe salvato Reyhaneh dalla forca, ma il figlio dell’uomo ha chiesto che la ragazza negasse di aver subito un tentativo di stupro e lei si è sempre rifiutata di farlo.
Proprio ieri, venerdì, Reyhaneh ha visto la madre in carcere, Shole Pakravan, la quale ha riferito che la figlia aveva la febbre e stava male.
Secondo l’Onu dall’inizio dell’anno in Iran sono già state giustiziate 250 persone.
Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, in una nota ha espresso il suo dolore. “L’uccisione di Reyhaneh è un dolore profondissimo”, si legge. “Avevamo sperato tutti che la mobilitazione internazionale potesse salvare la vita di una ragazza che invece è vittima due volte, prima del suo stupratore poi di un sistema che non ha ascoltato i tanti appelli”, aggiunge il ministro, “a conferma che è proprio sulla difesa dei diritti fondamentali che il dialogo tra i Paesi resta più difficile. Eppure la difesa dei diritti umani e l’abolizione della pena di morte sono battaglie fondamentali che l’Italia non rinuncerà mai a portare avanti in tutte le sedi”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire