25 anni fa, era la notte del 16 novembre 1989, sei gesuiti e due loro collaboratrici venivano trucidati da un gruppo paramilitare presso l’Università Centroamericana di El Salvador. Varie le manifestazioni per ricordare i “martiri dell’Uca” in diverse città della Spagna e a San Salvador. Paolo Ondarza per la Radio Vaticana:
E’ la notte del 16 novembre 1989, El Salvador è in piena guerra civile mentre da poco il mondo ha assistito alla caduta del Muro di Berlino, simbolo della Guerra Fredda. I soldati del battaglione anti-guerriglia, addestrato negli Stati Uniti, penetrano nell’Uca, Università Centroamericana, e armati di fucili d’assalto sovietici per far ricadere ogni responsabilità sui ribelli del FMLN, irrompono nella residenza dei padri gesuiti uccidendo a colpi di mitraglietta il rettore, lo spagnolo Ignacio Ellacuría, insieme ai confratelli Ignacio Martin Baro, Segundo Montes, Amando Lopez, Juan Ramon Moreno e il salvadoregno Joaquin Lopez, oltre alla cuoca Elba Julia Ramos e a sua figlia quindicenne Celina Mariceth Ramos. Fu un tentativo di decapitare le “menti pensanti” in un Paese oppresso: padre Ellacuría era temuto come possibile mediatore e i sei sacerdoti erano impegnati nella formazione e nella difesa dei più poveri e dei deboli, nella rivendicazione dei diritti umani e nell’accoglienza dei rifugiati. Dopo la loro morte padre Michael Czerny ne ha raccolto l’eredità dirigendo fino al 1991 l’Istituto per i diritti umani dell’Uca:
R. – Sono grandi figure, soprattutto il rettore padre Ignácio Ellacuría. L’ordine era di uccidere padre Ellacuría e non lasciare nessun testimone.
D. – La responsabilità venne fatta ricadere sui ribelli del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional …
R. – Si, volevano fare finta che fosse un attacco dei ribelli. Ma questa università si trova ad un chilometro dalla principale base militare; non era possibile un attacco di questo tipo. Nessuno ci ha creduto. Si trattava di un battaglione speciale delle forze armate e gli ordini sono stati dati dall’Alto comando.
D. – Ad oggi è stata fatta piena verità su quello che accadde 25 anni fa?
R. – C’è abbastanza verità, ma non giustizia sufficiente. Purtroppo i responsabili, coloro che hanno dato gli ordini, il ministro della Difesa e gli altri membri dell’Alto comando non sono mai stati processati.
D. – Il massacro dell’Uca può essere considerato una delle ultime atrocità della Guerra Fredda…
R. – Esatto. La lotta assolutamente giustificata per la giustizia sociale all’interno di un piccolo Paese povero è diventato un fattore nella Guerra Fredda.
D. – La guerra civile durò 12 anni e causò 75 mila vittime. Ma anche dopo la fine della guerra civile altrettanti salvadoregni sono stati assassinati …
R. – Sì. Purtroppo la risoluzione negoziata non ha messo fine alle ingiustizie sociali, al conflitto sociale. Questo è il peccato del mondo di oggi: non abbiamo la lotta tra due grandi potenze, piuttosto la lotta o il conflitto all’interno della società per situazioni ingiuste che tante persone vivono con miseria e senza speranza.
D. – Non è corretto però dire che il martirio dei sei gesuiti sia avvenuto invano …
R. – No, no! Al contrario! Il loro martirio in primo luogo è stato un fattore decisivo per mettere fine alla guerra, perché ha aperto gli occhi soprattutto dei cittadini degli Stati Uniti che hanno fatto pressione al loro governo affinché modificasse e condizionasse l’appoggio che dava al governo e all’esercito di El Salvador. Ma più a lungo termine questi martiri, come Gesù, sono segni di contraddizione. I martiri sono inviati da Dio per ricordarci che dobbiamo impegnarci veramente per il Regno di Dio e non per i nostri motivi egoistici.
D. – Il loro sacrificio è dunque l’eredità più grande che hanno lasciato?
R. – Certo. Facciamo memoria dei martiri perché questo come, la memoria di Gesù, ci dà speranza per un futuro migliore.
D. – Ricordiamo anche le due donne che sono morte nel massacro dell’università…
R. – Julia Elba era una donna molto semplice, molto buona; aiutava nella nostra comunità come cuoca e aiutava i giovani a vivere in maniera migliore e più profonda la loro vocazione e la loro preparazione al sacerdozio. La figlia Celina aveva 15 anni; studiava all’università. Era fidanzata. E con questa tragedia è entrata troppo presto nella vita eterna; rimane un simbolo di speranza e di ispirazione per i giovani di El Salvador. È diventata una sorta di patrona della gioventù.