Dai viaggi apostolici all’impegno per la pace, dalla difesa dei cristiani perseguitati alla cultura dell’incontro: sono tanti i temi sottolineati da Papa Francesco nel 2014. Un anno che ha visto confermata una straordinaria popolarità del Papa argentino che aiuta il Successore di Pietro a farsi ascoltare anche da “mondi lontani”. Alessandro Gisotti ne ha parlato con lo storico Agostino Giovagnoli, docente all’Università Cattolica di Milano:
R. – Indubbiamente la capacità trainante di questo Papa si impone con evidenza. Se il 2013 è stato l’anno della “novità” rappresentata appunto da Papa Francesco, vediamo che nel 2014 questa novità non finisce ma, anzi, questa capacità attrattiva si esprime in molti modi. Vorrei fare un esempio che è apparentemente secondario: la capacità di fare notizia anche con le omelie della mattina, quelle che pronuncia a Santa Marta e che spesso vengono rilanciate e commentate. Evidentemente è un Papa che riesce a toccare contemporaneamente molte corde che riguardano sia la vita della gente comune sia i grandi problemi del mondo contemporaneo, collocando la Chiesa che egli esprime al centro della vita, in qualche modo, di tutto il mondo.
D. – Secondo lei quali sono le risposte più significative che la comunità cristiana sta dando alle sollecitazioni, a volte diciamo, alle vere e proprie scosse che Francesco sta offrendo?
R. – Forse la più significativa è anche quella meno evidente: Francesco punta ad una riforma che non è una riforma strutturale in primo luogo, ma è una riforma dei cuori. Dunque evidentemente il risultato vero della sua azione è molto difficile da misurare. Ma talvolta questo cambiamento, che egli sta inducendo con grande forza, emerge in passaggi significativi; penso tra l’altro al Sinodo, alla ricchezza del dibattito, quella parresìa sollecitata da Papa Francesco e, in effetti, manifestata dai padri sinodali.
D. – Un altro dei temi forti del Pontificato è la “cultura dell’incontro”; qualcosa che abbiamo visto concretamente in opera con l’accordo tra Stati Uniti e Cuba, ma anche nell’impegno per la pace in Medio Oriente, in altri contesti sicuramente …
R. – Sì, la cultura dell’incontro e anche questa diplomazia personale del Papa di cui il cardinal Parolin è un intelligente ed efficace collaboratore, ma che vede proprio il Papa stesso, in prima persona, spendersi su scenari diversi e con notevole efficacia. Il caso di Cuba è certamente il più interessante e più importante; tra l’altro la riconciliazione tra Stati Uniti e Cuba – favorita appunto da Papa Francesco – ha un grande valore storico, perché in qualche modo è simbolica di una frattura tra America del Nord ed America del Sud che costituisce un problema ormai dalla metà del secolo scorso e che ha anche avuto dei riflessi sulla vita interna della Chiesa: pensiamo ai conflitti di cui Cuba è stata un po’ il simbolo, alla teologia della rivoluzione prima, alla teologia della liberazione poi … Tutto questo ha avuto nella capacità di Papa Francesco, di indurre ad un dialogo e ad una conciliazione, un superamento: è come se avesse aperto una stagione nuova nella storia delle due Americhe che non è soltanto relativa alle vicende interne della Chiesa ma riguarda tutto il popolo americano.
D. – Dalla Siria all’Iraq, dalla Nigeria al Pakistan: i cristiani purtroppo sono sempre più vittime di persecuzioni. Il Papa ha più volte denunciato anche l’indifferenza che accompagna queste tragedie …
R. – L’indifferenza, in particolare del mondo occidentale, verso i cristiani perseguitati in altre parti del globo è un segnale negativo non solo per i cristiani perseguitati naturalmente, ma in qualche modo anche per l’Occidente e per l’Europa stessa. È come se attraverso questa indifferenza si manifestasse una sorta di “congedo dalla storia” per usare parole del predecessore di Francesco, Benedetto XVI.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana