L’AUSPICIO E LA RIFLESSIONE DI MONS. BREGANTINI – La Camera discute le riforme, il Senato la legge elettorale. I lavori del parlamento italiano sembrano rallentare le diplomazie dei partiti al lavoro in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica, prevista a partire dal 29 gennaio prossimo con la prima votazione a Camere unite. Luca Collodi della Radio Vaticana ha chiesto a mons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso e Presidente della Commissione episcopale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, se l’elezione del capo dello Stato italiano non rischi di essere una questione privata per i professionisti della politica, attraverso giochi e scambi parlamentari, escludendo i cittadini a danno del pluralismo e della democrazia:
R. – Ma, un po’ sono inevitabili, perché i partiti sono la prima mediazione che rappresenta la nostra gente per questa scelta così delicata. Io mi auguro che sottotraccia emerga invece un nome qualificato. Anche l’attenzione a essere cauti, evitando l’errore dell’altra volta, di esporre in maniera immediata nomi che poi sono stati bruciati: anche questa è una precauzione giusta. Quindi, essere prudenti e saggi. Quello che lei chiede, e che è nel cuore di tutti noi, è che siano soprattutto lungimiranti – in primo luogo – cioè capaci di cogliere un nome di lunga durata e di forte spessore. E poi capaci soprattutto di guardare questo nome con gli occhi e il cuore di tutto il Paese italiano, di tutta la realtà italiana, cioè quell’attenzione alle esigenze vere della gente, specie in questo momento di fatica nella crisi. E qualche rapido cenno di soluzione della crisi va accompagnato da mani sagge e prudenti, ecco, perché è un momento molto delicato.
D. – Mons. Bregantini, dalle sue parole si può pensare ad un presidente preparato e forte che risponda agli italiani e non agli interessi particolari dei singoli politici…
R. – Certo. Questo è il primo grande interesse che noi abbiamo: l’interesse di tutti, il bene comune, come anche altri saggi prelati hanno già espresso nei loro interventi. In particolare, io darei tre priorità a questo ipotetico nome che mi auguro che sia un nome gradito, che venga individuato con discernimento. Prima di tutto, che ascolti molto i giovani e che quindi sia attento alle loro precarietà. Secondo, che sappia essere profondamente attento e molto vicino alla gente, e quindi anche umile, sereno, magari con costi ancora minori al Quirinale – con attenzione, in fondo, ai bisogni profondi e grandi della gente, che visiti molto le periferie della nostra Italia, si informi, prenda atto dal vivo delle situazioni particolari. E, terzo, le alleanze mondiali le faccia con il cuore di Papa Francesco, cioè con il cuore delle periferie. Cioè non solo le solite, consuete, grandi nazioni, ma l’Italia sappia intrecciare rapporti in particolare con il Nord Africa. Lì, a mio giudizio, ci vuole una lettura saggia, un’esperienza diversa, specialmente per la Libia: il Mediterraneo dev’essere il primo grande cuore del presidente. E poi i Paesi dell’Est, in particolare in questo momento l’Ucraina, e infine i Paesi dell’Asia, senza dimenticare l’America Latina. Ecco, l’occhio dev’essere veramente di respiro mondiale e capace di cogliere soprattutto i poveri della terra. Queste tre priorità – i giovani, la gente, i poveri del mondo.
D. – Si parla di candidati politici, di economisti, qualcuno addirittura ipotizza personaggi del mondo dello spettacolo. Si può pensare a una figura proveniente dalla società civile?
R. – E’ difficile. Difficile che abbia quei 650-700 voti necessari, su cui convergere: sarebbe però un bellissimo segno di una politica che diventa servizio alla società civile, che possa rendere la società civile prioritaria, magari.
di Luca Collodi per la Radio Vaticana
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