Inaugurata la mostra “Libertà o terrorismo”, a Santa Maria in Cosmedin fino al 15 febbraio. Le immagini di 300 siti culturali danneggiati dalla guerra
«Ogni uomo civilizzato ha due patrie: il proprio paese e la Siria». La frase, attribuita all’archeologo francese Andrea Parrot, che fu anche direttore museale del Louvres, ben può racchiudere il senso della mostra fotografica “Libertà o terrorismo” inaugurata ieri, giovedì 5 febbraio, a Roma. L’esposizione, allestita all’interno della basilica di Santa Maria in Cosmedin – dove resterà fino al 15 febbraio, giorno in cui sarà celebrata anche una Messa per la pace – rimanda immagini dolorose per chiunque abbia visitato la terra siriana per turismo o per lavoro, per ragioni di studio o religiose. Documentano un “prima” e un “dopo” della bellezza austera di siti archeologici – molti dei quali considerati dall’Unesco patrimonio dell’Umanità – andata letteralmente in frantumi. Sulla parete uno schermo manda in onda alcuni video girati dai miliziani dell’Isis che si beano, servendosi di ruspe, di sradicare chiese, moschee e marmi preziosi.
A margine dell’evento inaugurale, si sono seduti attorno al tavolo diplomatici e rappresentanti del mondo culturale islamico per un convegno sulla barbarie che sta lacerando il medio e vicino Oriente. Tra questi, anche l’ex arcivescovo greco-melchita di Gerusalemme, il siriano monsignor Hilarion Capucci, addolorato dal dover vivere oggi, a 93 anni, la trasformazione della Siria «da paradiso a inferno». Depositaria di tesori inestimabili, è nella mezzaluna fertile dell’Iraq e della Siria che ha avuto origine la storia delle civiltà e l’Isis la sta distruggendo, perché, come denuncia l’Unesco, i terroristi del sedicente Stato Islamico vendono beni archeologici per acquistare armi e finanziare attività terroristiche. E le immagini satellitari mostrano circa 300 siti culturali danneggiati dalla guerra. Tra questi, anche Aleppo, Damasco, Palmyra e il Krak des Chevaliers di Homs.
Una perdita che si affianca a quella sul piano delle vite umane per quello che, con i suoi soli 180 chilometri quadrati di superficie, è spesso descritto come “il più grande piccolo Paese al mondo”. «Secondo i dati che ci sono stati forniti dalle autorità ministeriali siriane – racconta Giovanni Feola, coordinatore dell’associazione di volontariato internazionale Solidarité Identités, promotrice della mostra -, dall’inizio delle ostilità sono stati uccisi oltre 200 operatori che lavoravano, a vario titolo, nell’ambiente culturale-archeologico. È una violenza contro l’umanità, dunque, e chi difenda i tesori della Siria, a prescindere dalla propria opzione politica, è dalla parte del giusto».
«Per non cadere in tragici errori – spiega l’ambasciatore d’Iraq presso la Santa Sede, Habib al Sadr -, l’Occidente deve ascoltare i saggi inviti del sommo pontefice Francesco al rispetto dei simboli religiosi altrui e a non abusare della libertà intellettuale, perché altrimenti potrebbe accendere la miccia dell’odio e innescare conflitti dalle conseguenze disastrose». L’imam alawita Ali Hasan Ramadan, membro dell’Alta Commissione degli Scienziati Islamici, addebita al mondo occidentale ciò che sta accadendo, avendo armato e sovvenzionato «per propri tornaconti» quelli che oggi gli si rivoltano contro: «L’Isis è una vostra creatura, non rappresenta l’Islam – dice -. Nelle nostre terre, cristiani e musulmani la combattono insieme». Sì, perché «siamo prima di tutto siriani», è l’eco di monsignor Mtanous Haddad, archimandrita cattolico greco-melchita. Con la richiesta di non essere lasciati da soli a combattere i terroristi il cui obiettivo – qui tutti se ne dicono convinti – è, in definitiva, l’uomo.
di Mariaelena Finessi per Roma Sette