Agli Oscar ha vinto come miglior film straniero ha vinto il polacco Ida di Pawel Pawlikowski, delicata e avvincente opera in bianco e nero ambientata nella Polonia comunista, che racconta il cammino di una giovane novizia alla ricerca delle sue origini e della fede.
Ecco la recensione di Alessandra De Luca, uscita su Avvenire:
Per Anna, diciottenne novizia, orfana cresciuta dalle monache nella Polonia comunista degli anni Sessanta, la vita in convento non è mai stata un sacrificio, anche perché non ne ha mai conosciuta un’altra. Per lei, totalmente ignara del mondo esterno, la fede è qualcosa di estremamente naturale. La madre superiora lo sa bene, per questo la invita, prima di prendere i voti, a trascorrere un po’ di tempo con una zia, unica superstite della sua famiglia improvvisamente fattasi viva dopo anni di silenzio.
Seppur malvolentieri la ragazza si allontana dal convento per cominciare un involontario viaggio di formazione con una donna cinica e autodistruttiva, già militante nella resistenza antinazista e ora membro di rilievo nel Partito, che la accusa di volersi rovinare la vita scegliendo di chiudersi in un convento. Tanto più che Anna, così rivela la zia nella scena più scioccante del film, non è affatto quella che crede di essere. Il suo vero nome è Ida Lebenstein, ed è ebrea.
Come farà ora la giovane a conciliare radici familiari e vocazione religiosa? Zia e nipote cominceranno così un viaggio alla scoperta di chi ha ucciso i genitori della ragazza durante la guerra e di dove sono stati sepolti i corpi, ma l’indagine diventerà l’occasione per farci scoprire il cuore delle due donne, che impareranno ad amarsi e rispettarsi.
È solo a questo punto del suo doloroso percorso, a contatto con le miserie morali degli uomini, che Ida aprirà davvero gli occhi sul mondo e su se stessa, prendendo coscienza volta di una femminilità che non aveva mai osservato prima e del cui fascino neppure sospettava. La tentazione assume le sembianze di un giovane musicista che vorrebbe sposarla e renderla madre. Dopo una notte insieme, Ida assapora per la prima volta il sogno di una famiglia tutta sua. Ma ora lei sa, e quando all’alba abbandona in silenzio il giovane per tornare in convento, il suo volto, enigmatico e imperscrutabile per tutto il film, è illuminato da una gioia nuova. Divenuta adulta, Ida ha finalmente scelto di unirsi a Dio, per la prima volta consapevole delle proprie azioni.
Straordinariamente fotografato con un rigorosissimo, elegante, austero bianco e nero che fa pensare a maestri del calibro di Robert Bresson e Ingmar Bergman, poetico e privo di qualunque retorica, sostenuto da una solidissima regia impreziosita dagli intensissimi primi piani della protagonista (la bellissima, magnetica Agata Trzebuchowska alla sua prima prova sul grande schermo), Ida, il film del polacco Pawel Pawlikowski distribuito nelle nostre sale da Parthenos, è uno di quelle opere che pochissimo concedono allo spettatore. Eppure l’intimo dramma di Ida sullo sfondo di un paese scosso dalle turbolenze della propria storia, le contraddizioni che è chiamata a superare, la forza di perdonare l’imperdonabile e una coraggiosa scelta da affrontare hanno conquistato il pubblico e la giuria di numerosi festival internazionali, tra cui Londra, Varsavia, Toronto e Torino dimostrando come il buon cinema, quello fatto di idee forti seppure difficili, arrivi facilmente al pubblico non sempre anestetizzato da proposte banali e omologate dal mercato.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Avvenire