Il sedicente Stato islamico dichiara guerra a entrambi i governi presenti in Libia, definiti “infedeli”. Nel Paese nordafricano sono attualmente attivi due esecutivi: uno, filoislamico, a Tripoli e l’altro riconosciuto a livello internazionale a Tobruk. Quest’ultimo ha annunciato nelle ultime ore di voler lasciare i colloqui mediati dall’Onu. Il Paese è dunque dilaniato dal conflitto interno e ostaggio dei jihadisti, che a Bengasi avrebbero trasformato la chiesa in un deposito di armi. Paolo Ondarza ha raccolto per la Radio Vaticana la testimonianza del vicario apostolico di Bengasi, mons. Sylvester Magro, raggiunto telefonicamente a Malta:
R. – Noi, come i libici, vogliamo la pace, vogliamo una vita normale, così come l’abbiamo conosciuta negli anni passati. Adesso, tutto questo scombussolamento che è avvenuto pesa sulla popolazione ed anche su di noi.
D. – Fino a qualche mese fa, mai avreste immaginato questa situazione…
R. – No. Purtroppo non lo abbiamo immaginato. Tutto è precipitato in poche ore: era il 4 novembre quando ci hanno chiamato per portarci in un posto sicuro. Sono già quattro mesi che siamo fuori dalla nostra chiesa… E adesso abbiamo anche appreso da Internet la notizia che la chiesa è diventata un deposito di armi. Ho telefonato ai confratelli, ma anche loro non sanno niente perché non è possibile andare in quella zona “calda”: quindi non possiamo confermarlo personalmente.
D. – La Chiesa come vive questo momento?
R. – E’ un tempo di sofferenza e di paura. Con molta rassegnazione siamo costretti a rinchiuderci sempre di più nelle nostre abitazioni. Pregando e sperando aspettiamo tempi migliori, se Dio vuole. Quello che possiamo fare è pregare, perché si giunga a un’intesa attraverso il dialogo mediato dalle Nazioni Unite. Che cosa possiamo fare noi? Siamo rimasti con questa speranza di una intesa finale che restituisca la pace a questo popolo tanto provato e a noi come loro. Noi soffriamo perché il popolo desidera la pace, il popolo vuole ritornare a una vita normale. Questo è un grido fortissimo, perché non piace a nessuno stare in uno stato di guerra.
D. – Lei adesso verrà a Roma?
R. – Si devo venire per la visita “ad Limina”.
D. – E questo grido lei lo porterà al Papa?
R. – Senz’altro, senz’altro, sì. Basta con lo spargimento di sangue e che ognuno cerchi di fare il proprio sforzo per far regnare la pace tanto desiderata e sospirata nei cuori di tutti gli uomini.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana