Quando occuparsi della sicurezza del Santo Padre diventa una testimonianza di fede
«Le onorificenze fanno piacere, non lo nego. Ma non servono per andare in Paradiso». Domenico Giani, 52 anni, aretino, comandante della Gendarmeria Vaticana, è un super-poliziotto decisamente sui generis. Non solo perchè deve occuparsi della sicurezza di uno degli uomini più influenti ma nello stesso tempo più esposti e vulnerabili della nostra epoca, ma anche perchè non fa mistero di considerare il suo lavoro anzitutto alla stregua di una missione spirituale. Senza che – ovviamente – questo comporti la rinuncia ad uno standard di protezione e di intelligence tra i più elevati del pianeta. Questo colloquio, uno dei pochissimi concessi da Giani nei nove anni passati alla guida della Gendarmeria, avviene in giorni non facili per le notizie drammatiche che arrivano dal Medio Oriente e dal Nord Africa.
Comandante, qual è la sua valutazione delle minacce contro l’Italia e contro il Vaticano che l’Isis lancia a ripetizione ? Sono attendibili o è solo propaganda?
La minaccia esiste. Questo è ciò che emerge dai colloqui che ho con i colleghi italiani e stranieri. Ma una cosa è l’esistenza di una minaccia, altra cosa la pianificazione di un attacco. Al momento posso dire che non siamo a conoscenza di piani di attacco al Vaticano o al Santo Padre.
Come si traduce questa allerta nel lavoro quotidiano della sicurezza?
Il livello di attenzione è costantemente alto, sempre adeguato alle circostanze. Non esistono solo le minacce dell’Isis, ma anche i rischi di azioni solitarie, che sono più pericolose perchè imprevedibili. Penso a fanatici, a disturbati mentali, a mitomani, oppure semplicemente a individui che potrebbero decidere di agire in Vaticano per la rilevanza mediatica che se ne può ricavare.
In che modo Francesco vive questa situazione di rischio?
Il Santo Padre non intende abbandonare lo stile del suo pontificato, fondato sulla prossimità. Cioè sull’incontro diretto con il maggior numero possibile di persone. Anche da Pontefice, è rimasto il sacerdote che non vuole perdere il contatto con il suo gregge. Siamo dunque noi incaricati della Sua sicurezza che dobbiamo adeguarci a Lui, e non viceversa. Dobbiamo fare di tutto perchè Egli possa continuare a svolgere il suo ministero come vuole, e crede.
La visita compiuta lo scorso 8 febbraio dal Papa in una baraccopoli di Pietralata, nella periferia di Roma, è sembrata un azzardo, in termini di sicurezza…
Come ho già detto, il Santo Padre non intende rinunciare al contatto diretto con la gente. Ma naturalmente noi adottiamo le nostre precauzioni.
Capita che il Papa confidi l’umanissimo sentimento della paura ?
Il Santo Padre è ben consapevole della minaccia che grava sulla sua persona, ma la sua unica preoccupazione è per i fedeli. Il Vaticano è un luogo dove ogni giorno, tra visite in Basilica, ai Musei, e udienze, transitano decine di migliaia di persone. Che devono sentirsi rilassate e sicure.
Lei è entrato in Vaticano sedici anni fa, comanda la Gendarmeria da 9 anni e ha servito tre Papi. Ritiene che sotto il profilo della sicurezza questo sia il momento più critico di tutta la sua esperienza?
Fu certamente un momento molto critico anche quello successivo al discorso tenuto da Benedetto XVI a Ratisbona, il 12 settembre del 2006. Un intervento che ad una rilettura odierna appare profetico per la denuncia delle degenerazioni di un certo Islam estremista, ma che allora suscitò proteste e minacce molto forti al Papa.
A lei tocca anche il compito inedito di dover proteggere contemporaneamente due Papi. Quali problemi pone la tutela di Ratzinger?
Papa Benedetto risiede all’interno della Città del Vaticano, in un convento, e si limita a fare una passeggiata quotidiana nei giardini, accompagnato da una scorta della Gendarmeria.
Il fatto che Papa Francesco abbia scelto di vivere nella casa di Santa Marta pone problemi particolari alla sicurezza?
Certamente il Palazzo Apostolico è meno facilmente accessibile rispetto alla casa Santa Marta; ma come le dicevo il Santo Padre ha scelto uno stile di vita e non intende cambiarlo per l’esistenza di un potenziale rischio.
Come giudica l’attuale livello di collaborazione con la Polizia di Stato italiana?
La giudico eccellente. L’Ispettorato vaticano è davvero un ‘compagno di viaggio’. Con il nuovo responsabile Maria Rosaria Maiorino è già nato un rapporto di reciproca stima. Ma ho rapporti eccellenti con tutta la Polizia di Stato, a cominciare dal suo capo, il prefetto Alessandro Pansa. E anche le altre forze dell’ordine concorrono efficacemente alla macchina della sicurezza.
Sotto il suo comando la Gendarmeria è entrata a far parte dell’Interpol e immagino che sia intenso lo scambio di informazioni con i servizi segreti di altri Paesi. Le capita anche di ottenere una buona collaborazione da Paesi islamici?
Sì. E da numerosi Paesi islamici non mi arrivano solo preziose informazioni, ma anche attestati di stima e ammirazione per il Santo Padre. Posso dire che oggi il Pontefice è visto e rispettato dall’Islam come la più influente autorità morale al mondo. E questo sia da parte di autorità religiose che civili.
Del resto credo sia evidente il grande rispetto che Francesco dimostra per tutte le fedi e il fatto che il suo Pontificato sia attraversato dal disegno di propiziare la pace tra i popoli attraverso il dialogo interreligioso.
Prima di entrare nellla Gendarmeria lei ha servito la Repubblica italiana dapprima nella Guardia di Finanza, poi nei servizi segreti e nel Dap. Qual è la principale differenza tra i due modi di essere operatore della sicurezza?
Mi sento orgoglioso di avere lavorato per la Repubblica, anche se mi resta l’amarezza di avere visto, in quegli anni, tanti colleghi uccisi e i loro assassini in libertà. Ora però servo un ideale che per un credente come me è il più alto di tutti. Proteggo il Vicario di Cristo in terra. È un compito al quale ci si consegna in un modo ancora più totalizzante. Lo avverto come un onore e una gioia che compensano ogni sacrificio fino al rischio della vita. È un grande e prestigioso impegno professionale, sostenuto dalla mia fede.
Nella mente di chi non deve lasciare niente al caso, che ruolo ha il riconoscimento dell’esistenza di disegni imperscrutabili della provvidenza divina?
Quello di rendere ancora più sereno il mio modo di lavorare. So che i disegni superiori del Signore guidano ogni cosa. Dunque il mio motto è questo: fare fino in fondo, cercando di farla al meglio, la mia inutile parte e far fare il resto al Signore.
Ho un’altra curiosità: come si concilia il suo essere credente, e perdi più di ispirazione francescana, con l’accettazione della possibilità di usare la violenza?
Il Santo Padre, durante il suo viaggio di ritorno dalla visita in Corea del Sud, ha detto che è lecito fermare le ingiuste aggressioni, seppure la decisione sui modi di farlo deve essere discussa in sede Onu. Dunque per un cristiano l’uso delle armi è un caso limite. Anche per noi della Gendarmeria alle armi si dovrebbe ricorrere solo in extrema ratio, ma per fortuna non è mai successo. E posso aggiungere che non si è mai giunti neppure alla minaccia di usarle.
Quanti sono al momento i gendarmi vaticani?
Cento trenta , anche se alla luce della situazione di rischio che riguarda anche dovremmo essere di più. Ma i vincoli di bilancio e l’austerità esistono anche in Vaticano. Come si entra nel Corpo? Si partecipa ad un concorso. Naturalmente ci sono dei requisiti necessari. Occorre anzitutto essere buoni cristiani e provare amore per la Chiesa. Poi essere diplomati ed essere alti almeno 1 metro e 78. Essere stati militari non è obbligatorio ma dà un punteggio più alto. All’ultimo concorso, in cui erano in palio 20 posti, si sono presentati circa mille ragazzi.
Le donne continuano a essere escluse?
Il lavoro delle donne rappresenta per ogni organizzazione un patrimonio prezioso, ma la nostra logistica non ci permette al momento un arruolamento femminile. Nella sorveglianza dei Musei vaticani è impiegato del personalale femminile, che però non è inquadrato nella Gendarmeria.
Avete anche le vostre teste di cuoio?
Una ventina di gendarmi vaticani hanno ricevuto un addestramento speciale che li rende idonei anche al pronto impiego in azioni antiterrorismo. Alcuni di loro accompagnano il Papa durante i suoi viaggi internazionali.
Si è parlato di dissapori tra lei e l’ex comandante delle Guardie svizzere, tanto da portare qualche giorno fa ad un suo avvicendamento. Questo è assolutamente falso, e voglio smentirlo con forza. La collaborazione con il Corpo delle Guardie svizzere è sempre stata eccellente. E sono sempre stati chiari i rispettivi ambiti d’azione. Anche con il nuovo Comandante, il colonnello Graft, c’è un rapporto di sincera amicizia. Ci conosciamo da tanti anni, abbiamo fatto tantissimi viaggi insieme, meglio di così non può essere. Inoltre il servizio congiunto a Santa Marta ha migliorato ulteriormente la collaborazione tra gendarmi e guardie svizzere.
Quali sono questi ambiti?
Le Guardie svizzere, che sono 110, hanno il compito di difendere la persona del Santo Padre e le sue residenze. La Gendarmeria ha il compito di occuparsi della sicurezza complessiva dello Stato pontificio, e anche degli spostamenti del Santo Padre. In più svolge le funzioni di polizia giudiziaria.
Qual è il vostro rapporto con le nuove tecnologie investigative ?
Posso dirle che disponiamo di un Centro operativo di elevato livello tecnologico, al quale tra l’altro fanno capo migliaia di telecamere di sorveglianza installate sia nella Città del Vaticano che fuori, a tutela dei nostri edifici extraterritoriali.
Ricorrete anche alle intercettazioni telefoniche ?
Talvolta capita. Devo dire che nel corso degli anni sono state davvero molto poche.
È vero che nel vostro Stato sono in aumento reati come il traffico di droga e la pedofilia?
Purtroppo ci sono stati dei casi del genere e il nostro livello di attenzione è aumentato. Sulla pedofilia abbiamo appena avuto due casi. Uno si è concluso con una condanna per detenzione di immagini pedopornografiche, nell’altro il processo è ancora in corso e non riguarda fatti commessi all’interno del Vaticano. Circa il traffico di droga vi è stato semplicemente il blocco di tre consegne provenienti dall’esterno dello Stato e spedite da gente che voleva servirsi del Vaticano come luogo di transito. Quindi non parlerei di aumento dei fenomeni malavitosi.
C’è pure il capitolo dei reati finanziari che per il Vaticano è una macchia, sia pure appartenente al passato.
Anche su questo fronte il nostro impegno è massimo. Nel 2013 sono stato chiamato a far parte del Comitato di sicurezza finanzinziaria istituito dal Santo Padre, e questo mi sembra un segnale significativo. Sui reati finanziari oggi la Santa Sede si è data una legislazione più severa e dettagliata rispetto a quella italiana, per esempio in materia di autoriciclaggio e di confisca. Sono tempi nei quali nemmeno il Vaticano è al riparo dalla violenza. Sì, ma il pericolo, come ho già detto, è circoscritto. Sempre affidandoci alla Provvidenza, noi facciamo al meglio la nostra parte.
L’intervista è stata pubblicata su: www.poliziamoderna.it