In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Luca 18,9-14
C’è dentro di me una presunzione.
Presunzione di essere giusta.
A posto.
Dalla parte giusta.
Tra i giusti.
A posto.
E gli altri di là.
Dall’altra parte.
Differenti da me.
Distanti da me.
Abbassa tu i miei occhi.
Batti tu il mio petto.
Io da sola non so.
Non so nulla.
Ma giudico.
Fammi umile, amore mio.
Dritti.
In piedi.
Alti.
Forti.
Gente che fa tutto.
Tutto in ordine.
Gente che fa di più.
Tutto alla grande.
Gente che ringrazia.
Perché si piace.
Si piace tanto.
E gli altri, no.
Gli altri non sono come lui.
Non sono così dritti, così in piedi, così alti e forti come lui.
Gente da prima fila.
Gente come Dio.
A volte mi alzo anche io.
A volte mi faccio forte di quello che sono.
Di quello che faccio.
Di quanto sono.
Di quanta sono.
E poi ti guardo.
E gli occhi si abbassano.
Si abbassano all’altezza del tuo cuore.
E mi innamoro.
E non sono nulla.
E non ho nulla.
Solo te.
Solo te, anima mia.
Vita mia.
Pregare tra sé.
Pregare e sentire l’eco della propria voce.
Pregare con gli occhi su di te.
Pregare e sentire il suono del mio petto battuto.
Del mio petto accarezzato da te.
Tornare a casa giustificata.
Con il petto aperto dai miei pugni.
Con il cuore umido della tua compassione.
Amore mio.
Che desiderio.
Esco e torno a casa.
Ma che desiderio.
Di Don Mauro Leonardi