Il Papa invierà i Missionari della Misericordia con la facoltà di togliere alcune scomuniche. Ecco i peccati che può assolvere solo la Santa Sede
Nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, Papa Francesco ha annunciato per la prossima Quaresima l’intenzione di inviare nelle diocesi i Missionari della Misericordia. Si tratta di sacerdoti, ha spiegato, «a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato».
A che cosa si riferivano quelle parole della Bolla? La definizione «peccati riservati alla Sede Apostolica», spiega il vescovo Giuseppe Sciacca, segretario aggiunto della Segnatura «in realtà è un’espressione che si trovava nel vecchio Codice di Diritto Canonico del 1917 e che sta a indicare alcune censure che possono essere tolte soltanto dalla Santa Sede. Si tratta di casi molto gravi, per i quali scatta la scomunica latae sententiae, cioè automatica, e la cui assoluzione è riservata alla Sede Apostolica».
Il primo di questi casi è contemplato nel canone 1367 del nuovo Codice di Diritto Canonico e riguarda «Chi profana le specie consacrate, oppure le asporta o le conserva a scopo sacrilego», e così «incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica».
Il secondo caso lo si ritrova poco più avanti, al paragrafo 1 del canone 1370, e riguarda «Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice». C’è poi la scomunica riservata alla Sede Apostolica per il sacerdote che assolve il «complice nel peccato contro il sesto comandamento», cioè che assolve in confessione la persona con la quale ha avuto rapporti sessuali (canoni 977 e 1378, paragrafo 1).
Un altro caso grave riguarda il vescovo che «senza mandato pontificio» consacra un altro vescovo: entrambi, consacrante e consacrato «incorrono nella scomunica late sententiae riservata alla Sede Apostolica» (canone 1382).
Ancora, ricade in questa categoria il sacerdote che viola il «sigillo sacramentale», cioè il segreto confessionale (canone 1388, paragrafo 1). A questo elenco si è aggiunto, grazie a un decreto della Congregazione per la dottrina della fede del 2007, il vescovo che tenta di ordinare una donna sacerdote.
Se questi sono casi limite gravissimi, la cui remissione è affidata solo alla Santa Sede, c’è un altro che i preti normalmente non possono assolvere e per il quale è necessario ricorrere al vescovo o un penitenziere maggiore o a sacerdoti ai quali il vescovo ha dato questa facoltà. Come si legge nel Codice canonico, è l’aborto: un peccato che prevede la scomunica latae sententiae sia per la madre, sia per il medico, per l’infermiere e per coloro che hanno eventualmente convinto la donna ad abortire. La scomunica, ha scritto Giovanni Paolo II nell’enciclica «Evangelium vitae» colpisce «tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un’adeguata conversione e penitenza».
I «Missionari della Misericordia» avranno dunque autorità su tutte queste materie, «perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato».
A cura di Redazione Papaboys fonte: Vatican Insider (La Stampa)