Laudato si’ è la prima enciclica interamente ascrivibile alla paternità di Papa Francesco, un’enciclica dedicata all’ecologia o, meglio, come recita il sottotitolo, alla “cura della casa comune”. Su questo tema il papa intende “entrare in dialogo con tutti”, non solo con i membri della sua chiesa cattolica: Francesco si rivolge a tutti, come fece Giovanni XXIII, papa santo e profeta, con la Pacem in terris quando la emanò dedicandola “a tutti gli uomini di buona volontà”. Così delinea un parallelo tra la tragica minaccia della guerra all’inizio degli anni sessanta, “mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare”, e il “deterioramento globale dell’ambiente” che stiamo provocando, “degradazione” già denunciata come “drammatica” e foriera di una possibile “catastrofe ecologica” da Paolo VI nella sua Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971. Ci troviamo cioè di fronte – ci suggerisce Papa Francesco – a una minaccia per l’umanità paragonabile alla catastrofe nucleare: per questo il suo monito risuona particolarmente accorato e urgente.
La riflessione di Papa Francesco procede con rimandi e riprese di argomenti, con un intrecciarsi di prospettive e di questioni sollevate che tuttavia si concentrano costantemente attorno ad “alcuni assi importanti” che il Papa stesso si premura di elencare, temi che “non vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti”: “l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita” contraddistinto da una sobrietà non deprimente.
Se l’essere umano è relazione e se la qualità della vita e della convivenza dipende dalla qualità delle relazioni, oggi siamo sempre più consapevoli che anche il mondo che abitiamo è fatto di relazioni, connessioni, dialoghi e che la salute della terra dipende dalla sostenibilità di questi rapporti.
Anche la modalità con cui Papa Francesco ha costruito l’enciclica e lo stile assunto fanno parte dell’insegnamento stesso. Francesco non è un Papa autoreferenziale che citi solo il magistero suo o dei papi precedenti: certo, come in tutti i documenti pontifici c’è innanzitutto la Sacra Scrittura che risulta ispirante, ci sono i padri della Chiesa e il magistero precedente, dal concilio ai papi dell’ultimo secolo, a volte però con scelte e discriminazioni eloquenti. Ma nella Laudato si’ troviamo citati anche documenti degli episcopati di tutto il mondo: dalle Americhe all’Oceania, dall’Africa del Sud all’Asia fino all’Europa. Il papa attinge dunque anche al magistero episcopale, come capo del collegio cui spetta il discernimento e la conferma nella fede. Questo metodo di “collecta” delle voci episcopali di diverse chiese, permette un magistero universale dei vescovi uniti al successore di Pietro: questo è stile conciliare e, in questa occasione si rivela “sinodale”, cioè proprio di un “camminare insieme”…
Accanto a questo respiro collegiale ci sono anche dati assolutamente nuovi e sorprendenti. È la prima volta che in un’enciclica papale vengono citati testi di cristiani appartenenti ad altre Chiese: due paragrafi presentano il pensiero e l’azione infaticabile del Patriarca ecumenico Bartholomeos, chiamato nel mondo il “patriarca verde” per la sua costante attenzione all’ecologia. Bartholomeos è un grande amico e fratello di Francesco, che condivide con lui una forte convergenza di sensibilità e “la speranza della piena comunione ecclesiale”. Ma, tra gli autori citati nell’enciclica, si deve ricordare la presenza di un filosofo, peraltro protestante, Paul Ricoeur e i numerosi rimandi a pensatori cattolici come Romano Guardini e il “sospettato” Teilhard de Chardin. Una sorpresa ancor più grande in questo senso è trovare il rimando a “un maestro spirituale, Ali-Khawwas”, mistico musulmano sufi del XV secolo.
Così l’enciclica ha un autentico respiro cattolico, ecumenico e capace di riconoscere la ricerca e la sapienza delle genti della terra. Francesco non poteva certo citare tutte le “sapienze” plurali e diverse dell’estremo oriente, ma l’inedita apertura a voci non cattoliche nel magistero alto di un’enciclica è avvenuta, segno di come oggi la Chiesa di Francesco metta in pratica quella ricerca comune e quell’ascolto che il concilio aveva indicato come uno dei “segni dei tempi”.
L’enciclica è molto ampia e qui mi limiterò a sottolineare alcune novità assai significative e non immediatamente percepibili, a cominciare dal suo fondamento teologico. Papa Francesco non solo rilegge le pagine della Genesi che narrano la creazione di tutto il cosmo ad opera di Dio, ma lo fa da cristiano, attraverso il Nuovo Testamento, e comprende la creazione come opera trinitaria, ossia come opera di Dio compiuta attraverso il Figlio, la Parola, nella forza del suo compagno inseparabile, il soffio, lo Spirito. L’universo non solo è opera di Dio, ma è abitato dalla presenza di Dio, è destinato alla salvezza, alla divinizzazione. Solo in questa “sovraconoscenza” della realtà della creazione in Cristo, attraverso Cristo e in vista di Cristo è possibile comprendere la vocazione umana e la vocazione di tutto il cosmo che attende redenzione e trasfigurazione.
Questa ripresa cristiana di una teologia della creazione è abbastanza rara, per lo più sconosciuta ai credenti, eppure decisiva per poter, come dice Agostino, “adorare la terra” come sgabello della signoria di Dio. Certo, l’ebraismo e il cristianesimo hanno liberato l’uomo dall’idolatria, dall’alienazione agli elementi celesti e terrestri, hanno demitizzato la natura, ma non hanno mai cessato di guardare ad essa non come a un semplice scenario per l’uomo, ma come a una comunità di creature che Dio aveva giudicato realtà “buona e bella”, creature che l’uomo deve custodire, ordinare, proteggere perché la vita fiorisca e la convivenza sia foriera di pace e di felicità, creature in attesa della redenzione in un cielo nuovo e una terra nuova.
Ma su questo fondamento teologico Papa Francesco fa emergere due esigenze che ritengo gli assi portanti dell’enciclica: consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza della situazione-limite in cui i nostri comportamenti – individuali, collettivi, politici, economici – hanno condotto “nostra madre terra”; consapevolezza dell’irreversibilità di certi processi ormai innescati, dell’urgenza di un cambio di mentalità e di azione, della necessità di fare fronte comune per fermare il degrado e invertire la rotta. Consapevolezza, anche, della spirale perversa avviata dalla “tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi” (§ 20).
E responsabilità: verso il bene comune, innanzitutto. Verso le creazione che è stata affidata all’essere umano “perché la coltivasse e la custodisse”. Non quindi perché la dominasse da padrone assoluto, ma la gestisse da “amministratore responsabile”. Sì, leggendo Laudato si’ e la convergenza di testimonianze cristiane di ogni epoca e latitudine viene da sorridere di fronte alle accuse che certi ambienti rivolgono alla tradizione ebraico-cristiana e alla chiesa, ritenendole insensibili alle problematiche ecologiche o addirittura fomentatrici della barbarie ambientale. Nel piano di Dio come lo rivela la bibbia c’è come fine da perseguire l’armonia tra umanità, animali, vegetali e cosmo intero: solo così si è anche in armonia, riconciliati con Dio.
L’enciclica non teme neppure di denunciare con forza il degrado che si è esteso dai rapporti umani a quello con la natura. Così, pur senza proporre soluzioni tecniche, offre spunti di ispirazione molto concreti per la politica e l’economia. Novità di questo messaggio papale è l’aver saputo coniugare il tema della giustizia sociale con il tema dell’ecologia, finora trattati in modo separato. Questa conversione di approccio operata da Francesco mostra come la cura dell’umanità che abbisogna di liberazione dall’oppressione, dall’ingiustizia, dalla violenza, interseca sempre il rispetto della terra, del lavoro dell’uomo e della sua “cultura”, della salvaguardia del creato. E pazienza se tutto questo può infastidire coloro per i quali, come dice papa Francesco, “la vita umana pesa meno di petrolio e armi”.
Il testo di Francesco è ricco di tematiche e di ispirazioni, è un grande dono fatto alla chiesa e all’umanità tutta, un dono che rilancia l’anelito all’uguaglianza e alla fraternità, oscurate dal prevalere di un concetto individualista di libertà. Ma è anche un dono fatto alla terra, una risposta dell’accorata supplica che Alano di Lilla, monaco del XII secolo, aveva messo in bocca alla terra: “Uomo, ascolta! Perché offendi me, tua madre? Perché fai violenza a me che ti ho partorito dalle mie viscere? Perché mi violenti con l’aratro, per farmi rendere il centuplo? Non ti bastano le cose che ti do, senza che tu le estragga con la violenza?”. Il messaggio di Francesco è urgente e chiaro: per salvarci, noi umani dobbiamo salvarci assieme alla terra. Da anni ripeto a me stesso un comandamento che accosto a quelli biblici: “Ama la terra come te stesso!”.
Di Padre Enzo Bianchi
fonte: Monastero di Bose