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Lettera da Roma (di San Giovani Bosco)

copSe si può essere tentati di dare poco credito, sotto il profilo di una teoria pedagogica o di una progettualità educativa, ad un breve trattatello presentato/come «indice», è da immaginare quale diffidenza si può provare di fronte a una semplice «lettera».
Ma «lettera» è lo scritto che, per la mano paziente del segretario don Giovanni Battista Lemoyne, Don Bosco invia ai suoi «carissimi figliuli in Gesù Cristo» il 10 maggio 1884.

Nel tono umile, familiare e intimo proprio dello stile epistolare, Don Bosco, ormai prossimo alla fine, consegna soprattutto ai suoi salesiani una, specie di «manifesto pedagogico» che raccoglie le intuizioni più geniali, i sentimenti piú veri, l’ansia di trasmissione di valori, le attenzioni più quotidiane e semplici alle domande dei giovani che hanno contrassegnato tutta la vita e il progetto educativo di Don Bosco.
Dodici paginette che un attento studioso di Don Bosco, Pietro Braido, definisce: «Il documento più limpido ed essenziale della pedagogia di Don Bosco, uno dei più significativi della pedagogia cristiana».

E, a seguire pacatamente il testo, si può riconoscere che questa non è un’affermazione enfatica. Che non risulti tale lo ha dimostrato la recente ripresa in occasione del suo centenario. Studi, approfondite ricerche e confronti, pubblicazioni di grandi studiosi hanno accompagnato l’interesse per questo documento che ha avuto il sapore di grande attualità.
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Resta più significativo il fatto che, al di là dell’attenzione storico-critica o astrattamente pedagogica, la Lettera ha incontrato larga e consapevole attenzione da parte di giovani, educatori, animatori, religiosi che, nella scelta della loro presenza tra i giovani, si ispirano al metodo educativo di Don Bosco.

In questa lettera-testamento del santo torinese essi hanno potuto ritrovare le ragioni e l’entusiasmo della propria scelta di servizio ai giovani.

Merita annotare ancora che la «Lettera da Roma» appare in duplice redazione: una breve (presto dimenticata) e una più diffusa (oggetto di particolare attenzione e riflessione da parte dei salesiani fin dal suo primo apparire).
Circa le vicende redazionali legate alla duplice redazione riteniamo interessante lo studio proposto da Pietro Braido in «Don Bosco. Scritti pedagogici e spirituali» (Editrice LAS-Roma, 1987, pag. 271-283).
Qui proponiamo la Lettera nella sua redazione più ampia.
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LETTERA DA ROMA

Roma, 10 Maggio 1884 Miei carissimi figlioli in Gesú C.
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Vicino o lontano io penso sempre a voi. Un solo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità. Questo pensiero, questo desiderio mi risolsero a scrivervi questa lettera. Sento, o cari miei, il peso della mia lontananza da voi e il non vedervi e il non sentirvi mi cagiona pena quale voi non potete immaginare. Perciò io avrei desiderato scrivere queste righe una settimana fa, ma le continue occupazioni me lo impedirono. Tuttavia, benché pochi giorni manchino al mio ritorno, voglio anticipare la mia venuta fra voi almeno per lettera, non potendolo di persona. Sono le parole di chi vi ama teneramente in Gesù Cristo ed ha dovere di parlarvi colla libertà di un padre. E voi me lo permetterete, non è vero? E mi presterete attenzione e metterete in pratica quello che sono per dirvi.
Ho affermato che voi siete l’unico ed il continuo pensiero della mia mente. Or dunque in una delle sere scorse io mi era ritirato in camera, e mentre mi disponeva per andare a riposo avea incominciato a recitare le preghiere che mi insegnò la mia buona mamma. In quel momento non so bene se preso dal sonno o tratto fuor di me da una distrazione mi parve che mi si presentassero innanzi due degli antichi giovani dell’Oratorio.
Uno di questi due mi si avvicinò e salutatomi affettuosamente mi disse:
– O D. Bosco! Mi conosce?
– Sì che ti conosco: risposi.
– E si ricorda ancora di me? soggiunse quell’uomo.
– Di te e di tutti gli altri. Tu sei Valfrè, ed eri nell’Oratorio prima del 1870.
– Dica! continuò Valfrè, vuoi vedere i giovani che erano nell’Oratorio ai miei tempi?
– Sì fammeli vedere, io risposi; ciò mi cagionerà molto piacere.
E Valfrè mi mostrò i giovani tutti colle stesse sembianze e colla statura e nell’età di quel tempo. Mi pareva di essere nell’antico oratorio nell’ora della ricreazione. Era una scena tutta vita, tutta moto, tutta allegria. Chi correva, chi saltava, chi faceva saltare. Qui si giuocava alla rana, là a bararotta ed al pallone. In un luogo era radunato un crocchio di giovani che pendeva dal labbro di un prete il quale narrava una storiella. In un altro luogo un chierico che in mezzo ad altri giovanetti giuocava all’asino vola ed ai mestieri. Si cantava, si rideva da tutte parti e dovunque chierici e preti e intorno ad essi i giovani che schiamazzavano allegramente. Si vedeva che fra i giovani e i Superiori regnava la più grande cordialità e confidenza. Io era incantato a questo spettacolo e Valfrè mi disse: – Veda: la famigliarità porta amore, e l’amore porta confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani palesano tutto senza timore ai maestri, agli assistenti ed ai Superiori. Diventano schietti in confessione e fuori di confessione e si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati.
In quell’istante si avvicinò a me l’altro mio antico allievo che avea la barba tutta bianca e mi disse: – Don Bosco vuole adesso conoscere e vedere i giovani che attualmente sono nell’Oratorio? (Costui era Buzzetti Giuseppe).
– Sí! risposi io; perché è già un mese che più non li vedo!
E me li additò. Vidi l’Oratorio e tutti voi che facevate ricreazione. Ma non udiva più grida di gioia e cantici, non più vedeva quel moto, quella vita come nella prima scena. Negli atti e nel viso di molti giovani si leggeva una noia, una spossatezza, una musoneria, una diffidenza che faceva pena al mio cuore. Vidi è vero molti che correvano, giuocavano, si agitavano con beata spensieratezza, ma altri non pochi io ne vedeva, star soli appoggiati ai pilastri in preda a pensieri sconfortanti; altri su per le scale e nei corridoi o sopra i poggiuoli dalla parte del giardino per sottrarsi alla ricreazione comune; altri passeggiare lentamente in gruppi parlando sottovoce fra di loro dando attorno occhiate sospettose e maligne: talora sorridere ma con un sorriso accompagnato da occhiate da far non solamente sospettare, ma credere che San Luigi avrebbe arrossito se si fosse trovato in compagnia di costoro; eziando fra coloro che giuocavano ve ne erano alcuni così svogliati, che faceano veder chiaramente, come non trovassero gusto nei divertimenti.
– Hai visti i tuoi giovani? mi disse quell’antico allievo.
– Li vedo; risposi sospirando.
– Quanto sono differenti da quelli che eravamo noi una volta! esclamò quel vecchio allievo.
– Purtroppo! Quanta svogliatezza in questa ricreazione.
– E di qui proviene la freddezza in tanti nell’accostarsi ai Santi Sacramenti, la trascuranza delle pratiche di pietà in Chiesa e altrove; lo star mal volentieri in un luogo ove la Divina Provvidenza li ricolma di ogni bene pel corpo, per l’anima, per l’intelletto.
Di qui il non corrispondere che molti fanno alla loro vocazione; di qui le ingratitudini verso i Superiori; di qui i segretumi e le mormorazioni, con tutte le altre deplorevoli conseguenze.
– Capisco, intendo, risposi io. Ma come si possono rianimare questi miei cari giovani, acciocché riprendano l’antica vivacità, allegrezza, espansione?
– Coll’amore!

– Amore? Ma i miei giovani non sono amati abbastanza? Tu lo sai se io li amo. Tu sai quanto per essi ho sofferto e tollerato pel corso di ben quaranta anni, e quanto tollero e soffro ancora adesso. Quanti stenti, quante umiliazioni, quante opposizioni, quante persecuzioni per dare ad essi pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loro anime. Ho fatto quanto ho potuto e saputo per coloro che formano l’affetto di tutta la mia vita.
– Non parlo di te!
– Di chi dunque? Di coloro che fanno le mie veci? Dei Direttori, Prefetti, maestri, assistenti? Non vedi come sono martiri dello studio e del lavoro? Come consumino i loro anni giovanili per coloro che ad essi affidò la Divina Provvidenza?
– Vedo, conosco; ma ciò non basta: ci manca il meglio.
– Che cosa manca adunque?
– Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati.
– Ma non hanno gli occhi in fronte? Non hanno il lume dell’intelligenza? Non vedono che quanto si fa per essi è tutto per loro amore?
– No, lo ripeto; ciò non basta.
– Che cosa ci vuole adunque?
– Che essendo amati in quelle cose che loro piacciono col partecipare alle loro inclinazioni infantili, imparino a veder l’amore in quelle cose che naturalmente lor piacciono poco, quali sono la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi e queste cose imparino a far con amore.
– Spiegati meglio!
– Osservi i giovani in ricreazione.
Osservai e quindi replicai: – E che cosa c’è di speciale da vedere?

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– Sono tanti anni che va educando giovani e non capisce? Guardi meglio! Dove sono i nostri Salesiani? Osservai e vidi che ben pochi Preti e Chierici si mescolavano fra i giovani e ancor più pochi prendevano parte ai loro divertimenti. I Superiori non erano più l’anima della ricreazione. La maggior parte di essi passeggiavano fra di loro parlando, senza badare che cosa facessero gli allievi; altri guardavano la ricreazione non dandosi nessun pensiero dei giovani; altri sorvegliavano così alla lontana senza avvertire chi commettesse qualche mancanza; qualcuno poi avvertiva ma in atto minaccioso e ciò raramente.
Vi era qualche Salesiano che avrebbe desiderato intromettersi in qualche gruppo di giovani, ma vidi che questi giovani cercavano studiosamente di allontanarsi dai maestri e dai Superiori.
Allora quel mio amico ripigliò: – Negli antichi tempi dell’Oratorio lei non stava sempre in mezzo ai giovani e specialmente in tempo di ricreazione? Si ricorda quei belli anni? Era un tripudio di paradiso, un’epoca che ricordiam sempre con amore, perché l’amore era quello che ci serviva di regola, e noi per lei non avevamo segreti.
– Certamente! E allora tutto era gioia per me e nei giovani uno slancio per avvicinarsi a me per volermi parlare, ed una viva ansia di udire i miei consigli e metterli in pratica. Ora però vedi come le udienze continue e gli affari moltiplicati e la mia sanità me lo impediscono.
– Va bene: ma se lei non può, perché i suoi Salesiani non si fanno suoi imitatori? Perché non insiste, non esige che trattino i giovani come li trattava lei?
– lo parlo, mi spolmono ma pur troppo che molti non si sentono più di far le fatiche di una volta.
– E quindi trascurando il meno perdono il più e questo più sono le loro fatiche. Che amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai Superiori. E a questo modo sarà facile la loro fatica. La causa del presente cambiamento nell’Oratorio è che un certo numero di giovani non ha confidenza nei Superiori. Anticamente i cuori erano tutti aperti ai Superiori, che i giovani amavano ed obbedivano prontamente. Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e non più come padri, fratelli ed amici; quindi sono temuti e poco amati. Perciò se si vuol fare un cuor solo ed un’anima sola per amor di Gesú bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e sottentri a questa la confidenza cordiale. Che quindi l’obbedienza guidi l’allievo come la madre guida il suo fanciullino. Allora regnerà nell’Oratorio la pace e l’allegrezza antica.
– Come dunque fare per rompere questa barriera?
– Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesú Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità. Il maestro visto solo in cattedra è maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello. Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa né più né meno del proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione è la parola di uno che ama.
Quante conversioni non cagionarono alcune sue parole fatte risuonare all’improvviso all’orecchio di un giovane nel mentre che si divertiva. Chi sa di essere amato ama e chi è amato ottiene tutto specialmente dai giovani. Questa confidenza mette una corrente elettrica fra i giovani ed i Superiori. I cuori si aprono e fanno conoscere i loro bisogni e palesano i loro difetti. Questo amore fa sopportare ai Superiori le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovanetti. Gesú Cristo non spezzò la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumava. Ecco il vostro modello.
Allora non si vedrà più chi lavorerà per fine di vanagloria; chi punirà solamente per vendicare l’amor proprio offeso; chi si ritirerà dal campo della sorveglianza per gelosia di una temuta preponderanza altrui; chi mormorerà degli altri volendo essere amato e stimato dai giovani, esclusi tutti gli altri Superiori, guadagnando null’altro che disprezzo ed ipocrite moine; chi si lasci rubare il cuore da una creatura e per far la corte a questa trascurare tutti gli altri giovanetti; chi per amore dei proprii comodi tenga in non cale il da vere strettissimo della sorveglianza; chi per un vano rispetto umano si astenga dall’ammonire chi deve essere ammonito.
Se ci sarà questo vero amore non si cercherà altro che la gloria di Dio e la salute delle anime. Perché si vuole sostituire all’amore la freddezza di un regolamento? Perché i Superiori si allontanano dall’osservanza di quelle regole di educazione che D. Bosco ha loro dettate? Perché al sistema di prevenire colla vigilanza e amorosamente i disordini, si va sostituendo a poco a poco il sistema meno pesante e più spiccio per chi comanda di bandir leggi che se si sa stengono coi castighi accendono odii e fruttano dispiaceri; se si trascura di farle osservare fruttano disprezzo per i superiori e cagione sa no di disordini gravissimi?
E ciò accade necessariamente se manca la famigliarità. Se adunque si vuole che l’oratorio ritorni all’antica felicità si rimetta in vigore l’antico sistema: che il Superiore sia tutto a tutti, pronto ad ascoltare sempre ogni dubbio, o lamentanza dei giovani, tutto occhio per sorvegliare paternamente la la ro condotta, tutto cuore per cercare il bene spirituale e temporale di coloro che la Provvidenza gli ha affidati. Allora i cuori non saranno più chiusi e non regneranno più certi segretumi che uccidono. Solo in caso di immoralità i Superiori siano inesorabili. È meglio correre pericolo di scacciare dalla casa un innocente, che ritenere uno scandaloso. Gli assistenti si facciano uno strettissimo dovere di coscienza di riferire ai Superiori tutte quelle cose le quali conoscano in qualunque modo essere offesa di Dio.
Allora io interrogai: – E quale è il mezzo precipuo perché trionfi simile famigliarità e simile amore e confidenza?
– L’osservanza esatta delle regole della casa.
– E null’altro?
– Il piatto migliore in un pranzo è quello della buona cera.
Mentre così il mio antico allievo finiva di parlare ed io continuava ad osservare con vivo dispiacere quella ricreazione a poco a poco mi sentii oppresso da grande stanchezza che andava ognora crescendo. Questa oppressione giunse al punto che non potendo più resistere mi scossi e rinvenni. Mi trovai in piedi vicino al letto. Le mie gambe erano così gonfie e mi faceano così male che non potea più star ritto. L’ora era tardissima quindi me ne andai a letto risoluto di scrivere a’ miei cari figlioli queste righe.
lo desidero di non far questi sogni perché mi stancano troppo. Nel giorno seguente mi sentiva rotto nella persona e non vedea l’ora di potermi riposare la sera seguente. Ma ecco appena fui in letto ricominciare il sogno. Avevo d’innanzi il cortile, i giovani che ora sono nell’Oratorio, e lo stesso antico allievo dell’Oratorio. lo presi ad interrogarlo: – Ciò che mi dicesti io lo farò sapere ai miei Salesiani, ma ai giovani dell’Oratorio che cosa debbo dire?
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Mi rispose: – Che essi riconoscano quanto i Superiori, i maestri, gli assistenti fatichino e studino per loro amore, poi che se non fosse pel loro bene non si assoggetterebbero a tanti sacrifizii; che si ricordino essere l’umiltà la fonte di ogni tranquillità; che sappiano sopportare i difetti degli altri, poi che al mondo non si trova la perfezione ma questa è solo in paradiso; che cessino dalle mormorazioni poiché queste raffreddano i cuori; e sovratutto che procurino di vivere nella S. grazia di Dio. Chi non ha pace con Dio, non ha pace con sè, non ha pace cogli altri.
– E tu mi dici dunque che vi sono fra i miei giovani di quelli che non hanno la pace con Dio?
– Questa è la prima causa del malo umore, fra le altre che tu sai, alle quali devi porre rimedio, e che non fa d’uopo che ora ti dica. Infatti non diffida se non chi ha segreti da custodire, se non chi teme che questi segreti vengano a conoscersi, perché sa che gliene tornerebbe vergogna e disgrazia. Nello stesso tempo se il cuore non ha la pace con Dio rimane angosciato irrequieto insofferente d’obbedienza, si irrita per nulla, gli sembra che ogni cosa vada a male, e perché esso non ha amore, giudica che i Superiori non lo amino.
– Eppure o caro mio non vedi quanta frequenza di Confessioni e di Comunioni vi è nell’Oratorio?
– È vero che grande è la frequenza delle Confessioni ma ciò che manca radicalmente, in tanti giovanetti che si confessano è la stabilità nei proponimenti. Si confessano ma sempre le stesse mancanze, le stesse occasioni prossime, le stesse abitudini cattive, le stesse disobbedienze, le stesse trascuranze nei doveri. Cosi si va avanti per mesi e mesi, e anche per anni e taluni perfino cosí continuano alla 5a ginnasiale. Sono confessioni che valgono poco o nulla; quindi non recano pace e se un giovanetto fosse chiamato in quello stato al tribunale di Dio sarebbe un affare ben serio.
– E di costoro ve ne ha molti all’Oratorio?

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– Pochi in confronto del gran numero di giovani che sono nella casa: Osservi. -E me li additava.
lo guardai e ad uno ad uno vidi quei giovani. Ma in questi pochi io vidi cose che hanno profondamente amareggiato il mio cuore. Non voglio nietterle sulla carta, ma quando sarò di ritorno voglio esporle a ciascuno cui si riferiscono. Qui vi dirò soltanto che è tempo di pregare e di prendere ferme risoluzioni; proporre non colle parole mai coi fatti e far vedere che i Comollo, i Savio Domenico, i Besucco e i Saccardi, vivono ancora tra noi.
In ultimo domandai a quel mio amico: – Hai null’altro da dirmi?
– Predica a tutti grandi e piccoli che si ricordino sempre che sono figli di Maria SS. Ausiliatrice. Che essa stessa li ha qui radunati per condurli via dai pericoli del mondo, perché si amassero come fratelli e perché dessero gloria a Dio e a lei colla loro buona condotta. Che è la Madonna quella che loro provvede pane e mezzi di studiare con infinite grazie e portenti. Si ricordino che sono alla vigilia della festa della loro SS. Madre e che coll’aiuto suo deve cadere quella barriera di diffidenza che il Demonio ha saputo innalzare tra giovani e Superiori e della quale sa giovarsi per la rovina di certe anime.
– E ci riusciremo a togliere questa barriera?
– Sí certamente purché grandi e piccoli siano pronti a soffrire qualche piccola mortificazione per amor di Maria e mettano in pratica ciò che io le ho detto. Intanto io continuava a guardare i miei giovinetti e allo spettacolo di coloro che vedeva avviati verso l’eterna perdizione sentii tale stretta al cuore che mi svegliai. Molte cose importantissime che io vidi desidererei ancora narrarvi ma il tempo e le convenienze non me lo permettono.
Concludo: Sapete che cosa desidera da voi questo povero vecchio che per i suoi cari giovani ha consumato tutta la vita? Niente altro fuorché, fatte le debite proporzioni ritornino i giorni felici dell’antico oratorio. I giorni dell’amore e della confidenza Cristiana tra i giovani ed i Superiori; i giorni dello Spirito di accondiscenza e sopportazione per amor di Gesú Cristo degli uni verso degli altri; i giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e candore, i giorni della carità e della vera allegrezza per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò che desidero per il bene delle anime vostre. Voi non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vostra di essere stati ricoverati nell’Oratorio. Innanzi a Dio vi protesto: Basta che un giovane entri in una casa Salesiana perché la Vergine SS. lo prenda subito sotto la sua protezione speciale. Mettiamoci adunque tutti d’accordo. La carità di quelli che comandano, la carità di quelli che devono obbedire faccia regnare fra di noi lo spirito di S. Francesco di Sales.
O miei cari figlioli, si avvicina il tempo nel quale dovrò distaccarmi da voi e partire per la mia eternità (Nota del Segret. A questo punto D. Bosco sospese di dettare; gli occhi suoi si empirono di lagrime, non per rincrescimento, ma per ineffabile tenerezza che trapelava dal suo sguardo e dal suono della sua voce: dopo qualche istante continuò) quindi io bramo di lasciar voi, o preti, o chierici, o giovani carissimi per quella via del Signore nella quale esso stesso vi desidera.
A questo fine il Santo Padre che io ho visto venerdí 9 di maggio vi manda di tutto cuore la sua benedizione. Il giorno della festa di Maria SS. Ausiliatrice mi troverò con voi innanzi all’effige della nostra amorosissima Madre. Voglio che questa gran festa si celebri con ogni solennità e D. Lazzero e D. Marchisio pensino a far sí che stiamo allegri anche in refettorio. La festa di Maria Ausiliatrice deve essere il preludio della festa che dobbiam celebrare tutti insieme uniti un giorno in paradiso.

Vostro aff.mo amico in G.C.
Sac. Giovanni Bosco

Dal sito ‘Note di Pastorale Giovanile’

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