Particolare rilievo sarà dato durante il viaggio del Papa in America Latina alla presenza nei Paesi visitati di varie etnie. Le preghiere della Messa del 9 luglio a Santa Cruz de La Sierra, in Bolivia, che aprirà il Congresso Eucaristico Nazionale, saranno ad esempio in lingua spagnola, guaranì, quechua e aymara. E’ in questa stessa ottica che Francesco parteciperà sempre in Bolivia al secondo incontro dei movimenti popolari. A sottolinearlo è padre Alejandro Manenti, economo dell’arcidiocesi di Santa Cruz de La Sierra che, al microfono di Paolo Ondarza, sottolinea la continuità con la visita in Bolivia di San Giovanni Paolo II nel 1988:
R. – La Bolivia usciva da un periodo dittatoriale e allora le aspettative erano chiaramente diverse. Di certo, un cammino è stato compiuto – dal 1988 al 2015 – e penso che l’annuncio di Papa Francesco ci aiuti a continuare l’opera di Gesù Cristo, che è iniziata più di 2000 anni fa e che continua oggi. E credo che la Chiesa in Bolivia avrà uno slancio diverso, anche davanti alle sette: in America Latina abbiamo moltissime sette che si scontrano con la Chiesa. Quindi penso che la sua presenza possa anche in questo senso portare un rinnovamento.
D. – Tra l’altro il Papa inaugurerà il V Congresso Eucaristico Nazionale in Bolivia, che proseguirà poi a Tarija…
R. – Sì, la sua presenza sarà proprio un momento per inaugurare il Congresso e anche per compiere questo cammino – l’Eucarestia è il centro della nostra fede – e come tale dobbiamo celebrarlo. Sarà l’unica Messa che Papa Francesco celebrerà in Bolivia: la mattina di giovedì 9 luglio.
D. – Significativo che le preghiere durante questa celebrazione vengano pronunciate nelle varie lingue…
R. – Sì, in quechua, aymara e guaranì, che sono le tre lingue più diffuse in Bolivia. Lo scopo è proprio quello di dare una dimensione diversa: nel senso che in Bolivia non c’è solo la lingua spagnola ma, a livello culturale, ci sono altri tre idiomi, che sono anche proprio le lingue originarie di questa terra…
D. – Che poi è la ricchezza di questa terra: tanta multiformità…
R. – Sì, la ricchezza culturale ha un significato anche molto importante; sono lingue storiche: i gesuiti, quando arrivarono nel 1500, si imbatterono in queste lingue originarie. Quindi penso che sia importante non dimenticare la nostra ricchezza culturale.
D. – E oggi la Chiesa riesce a far convivere al suo interno queste realtà così diverse?
R. – Sì, senza nessun problema. Io stesso sono andato a Cochabamba e ho imparato il quechua. Quindi si può imparare, ed è anche una cosa importante da fare: dobbiamo anche essere in grado di parlare nel loro linguaggio.
D. – In questo solco si inserisce la partecipazione del Papa al secondo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari a Santa Cruz de la Sierra…
R. – Sì, in quest’occasione saranno rappresentati anche tutti gli indigeni, originari dei luoghi. Quest’incontro serve per dare uno slancio, e per mostrare che l’annuncio del Vangelo arriva a tutti, non solo alle città, ma anche alle persone più distanti dalle città, anche a quelle che parlano una lingua diversa. L’annuncio di Cristo deve arrivare a tutti.
D. – Un’attenzione pastorale alle differenze, che non le appiattisce, non le schiaccia, ma le valorizza in un’ottica di unità…
R. – Esatto, deve essere così, non si possono fare differenze ma solo promuovere l’unità: la Chiesa unisce, non divide.
D. – Questo può essere forse anche l’auspicio per la Bolivia, una volta che Papa Francesco avrà lasciato la vostra terra…
R. – Certo, perché adesso siamo tutti indaffarati per la visita, però chiaramente bisognerà poi pensare al dopo. Pensare al dopo significa riflettere su ciò che Papa Francesco ci avrà lasciato nei suoi interventi e questo servirà anche a dare delle linee chiare alla Chiesa boliviana.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)