La storia infinita della Tav in Val Susa quasi ogni giorno scrive nuovi e preoccupanti capitoli. Ecco gli ultimi fatti. Tre bottiglie incendiarie sono state ritrovate sul pianerottolo di casa, a Torino, del senatore Stefano Esposito, del Pd, vicepresidente della Commissione Trasporti, da sempre favorevole alla realizzazione della linea ad alta velocità in Valle. Con un messaggio scritto che dice: “Torna in prefettura, altrimenti farai bum bum, ora che non c’è più il procuratore Caselli a difenderti”.
Immediata la reazione del senatore: “Non è possibile, sono stufo. Sto pensando di abbandonare l’impegno politico. Non lo farei per paura: questo deve essere chiaro. Però ho una famiglia, tre figli piccoli, e andare avanti così non si può. Ho dovuto accettare la scorta. E tre mesi fa ho dovuto portare mia moglie a partorire su un’auto blindata. È tutto molto difficile da accettare”. Un giornalista de “La Stampa”, il quotidiano di Torino, Massimo Numa, già minacciato e scampato a un pacco esplosivo arrivatogli, in redazione, ha ricevuto un messaggio che mette davvero paura: un video con spezzoni di riprese che ritraggono, lui, la sua casa, la sua auto e anche sua moglie. Numa racconta la Tav valsusina e si ritrova “osservato” (spiato) speciale. Infine i bagni del Tribunale di Torino, non dunque un luogo qualsiasi, otturati con polistirolo, con messaggi contro l’arresto di quattro, chiamiamoli così, militanti No Tav.
Dopo questi ennesimi campanelli d’allarme, molti osservatori parlano esplicitamente di una minaccia terroristica. Cioè, accanto alla legittima e pacifica manifestazione di un popolo No Tav, c’è e cresce sempre più un antagonismo violento, sempre più pericoloso. L’impressione è che la protesta No Tav sia diventata una sorta di Arca di Noè, dove il lasciapassare per entrarci è semplicemente dire: sono un No Tav, poi chi tu sia, cosa ti proponi, cosa vuoi, perché lo fai, o addirittura se conosci o meno la geografia della Valle, tutto diventa relativo. Se tu vieni alle proteste a mani nude, oppure con lo zaino pieno di pietre o altro, se vieni a volto scoperto o lo nascondi, tutto è secondario…
Eppure, la storia del vero e autentico movimento No Tav valsusino ha ben altre origini. Nessuno forse ci crede, ma sono venticinque anni che se ne parla. Era il 1989 quando a Torino, in un convegno fu presentata la proposta francese di una linea Tgv (allora si diceva così) tra Torino e Lione, con una galleria di 50 km. Sotto il Moncenisio. Era il 14 dicembre 1991 quando a Condove si tenne, promossa da Habitat, una prima riunione pubblica di chi già allora si batteva per “mantenere la vivibilità della Valle”. Chi ricorda ancora i famosi quattro no dei sindaci della Valle (no perché la Valle non è in grado di sopportare altre infrastrutture; no perché la qualità dell’ambiente è un diritto fondamentale della comunità locale; no perché le scelte vengono assunte in palese contrasto con il diritto dei cittadini di avvalersi del bene natura quale elemento prioritario della vita; no perché è demagogico affermare che la costruzione della linea ad alta velocità risolva il problema occupazionale in Valle) del dicembre 1993 (più di vent’anni fa)? Infine: era il 2 marzo 1996 quando per la prima volta la Valle scese in strada, a Sant’Ambrogio. C’erano 3mila persone. C’era anche la Coldiretti con i suoi trattori. Poi lentamente le cose sono cambiate. La faccia dei No Tav non era più quella della prima ora. Da fuori Valle, da lontano è arrivata tanta altra gente. “Di ogni razza”. E la protesta via via si è fatta sempre più violenta. Lo Stato, va anche detto, non ha saputo fare altro che militarizzare il cantiere di Chiomonte. Tanto per capire il clima che si vive, chiudiamo con le parole del senatore Esposito che confessa: “Casa mia è come Fort Knox. Ho messo sei telecamere, ho l’antifurto, sono collegato alla centrale di sicurezza. Ho pagato tutto io. Mi è costato più di 10mila euro”.
Ettore De Faveri per Agenzia Sir