Nei dintorni di Firenze il nobile Giovanni Gualberto rintraccia inerme l’assassino di suo fratello: potrebbe ammazzarlo, e invece lo perdona, riceve segni soprannaturali di approvazione ed entra nel monastero di San Miniato. Questa però è una leggenda, tramandata in versioni discordi: vera è solo l’entrata in monastero. Ma rapida è l’uscita, quando monaci indignati gli dicono che l’abate ha comprato la sua carica dal vescovo. Via da San Miniato, via dal monastero infetto. Sta un po’ di tempo con gli eremiti di san Romualdo a Camaldoli (Arezzo) e poi sale tra gli abeti e i faggi di Vallombrosa (Firenze).
Qui lo raggiungono altri monaci fuggiti dal monastero dell’abate mercenario; e con essi verso il 1038 crea la Congregazione benedettina vallombrosana, approvata da Papa Vittore II nel 1055 e fondata su austera vita comune, povertà, rifiuto di doni e protezioni. Cioè di quei favori, di quel “patronato” che sovrani e grandi casate esercitano nella Chiesa, nominando vescovi e abati, designando candidati al sacerdozio e popolando il clero di affaristi e concubini.
“Sono afflitto da immenso dolore e universale tristezza… trovo ben pochi vescovi nominati regolarmente, e che vivano regolarmente”. Così dirà Papa Gregorio VII (1073-1085), protagonista dei momenti più drammatici della riforma detta poi “gregoriana”. Ma essa comincia già prima di lui: anche in piena crisi, il corpo della Chiesa esprime forze intatte e nuove, che combattono i suoi mali: e tra queste forze c’è la comunità di Giovanni Gualberto, che si diffonde in Toscana e sa uscire arditamente dal monastero, con vivaci campagne di predicazione per liberare la Chiesa dagli indegni. A questi monaci si ispirano e si affiancano gruppi di sacerdoti e di laici, dilatando l’efficacia della loro opera, di cui si servono i papi riformatori.
Nel 1060-61 Milano ha cacciato molti preti simoniaci, e per sostituirli Giovanni Gualberto ne manda altri: uomini nuovi, plasmati dallo spirito di Vallombrosa. Dedica grande attenzione al clero secolare; lo aiuta a riformarsi, lo guida e lo incoraggia alla vita in comune: un senso pieno della Chiesa, tipico sempre in lui e nel suo Ordine, e sempre arricchito dalla forza dell’esempio. “La purezza della sua fede splendette mirabilmente in Toscana”, dirà di lui Gregorio VII. E i fiorentini, in momenti difficili, affideranno agli integerrimi suoi monaci perfino le chiavi del tesoro della Repubblica.
Giovanni Gualberto muore nel monastero di Passignano, dopo aver scritto ai suoi monaci una lettera che spiega in chiave biblica il valore del “vincolo di carità” fra tutti. Papa Celestino III lo canonizzerà nel 1193. I suoi monaci torneranno nel 1951 a Vallombrosa, che avevano lasciato in seguito alle leggi soppressive del XIX secolo. Nello stesso anno, Papa Pio XII proclamerà san Giovanni Gualberto patrono del Corpo Forestale italiano.
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Di Domenico Agasso
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