Il protagonista del fatto che sto per raccontare si chiama Mario Rossi. È un nome di fantasia e i motivi saranno evidenti lungo la lettura. Mario desidera che i nomi e i luoghi della vicenda rimangano anonimi ma si rivolge a me perché vuole che la gente sappia quanto gli è accaduto. Dunque, il sig. Mario è un cattolico che aiuta nella sua parrocchia nei vari servizi di catechesi. Qualche giorno dopo il Family Day “no gender” del 20 giugno a Piazza San Giovanni, arriva in parrocchia una signora e chiede il battesimo per sua figlia.
Fin qui nulla di male, anzi è una festa. Mario, insieme agli altri operatori parrocchiali, ha lavorato molto sull’accoglienza. Sanno che Papa Francesco ha detto a metà aprile ai nuovi sacerdoti che il battesimo non va mai negato, che la chiesa non è una dogana e che lui stesso, per dare l’esempio, a inizio anno ha battezzato figli di coppie non sposate in chiesa. Mario quindi sa che la signora va accolta, e lui la accoglie.
I sorrisi, le attenzioni, le domande e lo scambio di informazioni che seguono sono sinceri, sono sereni. Mario spiega che il battesimo non è innanzitutto un sacramento che richiede una piccola biografia a crocette con tante caselle da riempire. È un incontro con Dio e sa che quei dati – anagrafe, indirizzi, telefoni, mail – sono dati sensibili e lui ci mette molta sensibilità. Grazie a Mario la signora, con molta delicatezza, fa comprendere che la bambina da battezzare è figlia sua e della sua compagna. Per Mario quell’incontro diventa una doppia festa. Però quando informa gli altri operatori, quel battesimo si trasforma da festa dell’accoglienza a “il caso della parrocchia”. “Il caso” arriva sul tavolo dei catechisti e come tale viene trattato. Un caso “delicato, spinoso”.
Il signor Mario non crede a quanto avviene. Lui ha davvero dato credito al Papa e adesso non si spiega tanta difficoltà, tanta chiusura. Mario dice a se stesso che bisogna comprendere, che ciascuno ha le proprie fatiche, e perciò si offre di continuare ad essere lui a portare avanti il rapporto. “Con Paola – nome di fantasia – ci siamo trovati bene: se volete continuo io la preparazione al battesimo”. Ma gli viene detto di no. Mario è vedovo, gli viene spiegato, e non può andare da solo. In casi come quelli “ci si va assolutamente in coppia”. Perché? chiede Mario. “Bisogna dare testimonianza di normalità coniugale”, rispondono. Ci vuole maschio e femmina contro femmina e femmina. Il signor Mario non crede alle proprie orecchie. Replica che chiedere il battesimo per la figlia non vuol dire ricevere una controproposta di normalità coniugale ma vuol dire chiedere un battesimo: Paola non chiede un matrimonio, chiede un battesimo.
Mario insiste: andrebbe lì non per essere esemplare ma per essere amico, di quella particolare forma di amicizia che è il cristianesimo: amare il prossimo, dare la vita. Sostantivi senza attributi o distinguo: vita e prossimo. Tutta la vita, ogni prossimo. Niente aggettivi che distinguano.
Ma, secondo i catechisti, si sbaglia. Diventano più espliciti e spiegano a Mario che a quelle come Paola e compagna “bisogna dare degli esempi forti”. Per esempio, quando Paola dice che la figlia è “sua” perché è nata con la fecondazione artificiale, Mario ha fatto male a riportare nel modulo le sue esatte parole: infatti loro, i catechisti, hanno corretto con “padre sconosciuto”. E poi aggiungono che non è adatto perché è un ingenuo e con queste persone omosessuali bisogna stare attenti a come si parla: bisogna usare frasi precise e corte “perché loro registrano e ti cambiano le parole”.
Il signor Mario al telefono si ferma e si assicura che io voglia ancora scrivere, anche se sono prete. Dice che è importante perché secondo lui “questo non è catechismo, non è parlare di Gesù, perché Gesù non avrebbe parlato così”. No, Mario, Gesù non ha parlato così.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffintonpost