Ha regalato l’utilitaria al Papa ma, proprio come chiede Francesco, non ha smesso di girare le “periferie”. Dopo aver aiutato gli emarginati oggi con la fondazione L’Ancora si occupa di anziani e bambini.
«Sono stato e sono tuttora un prete di periferia. Nel quartiere Saval di Verona, a contatto con la miseria, ho ricevuto i doni più belli». Il Nord-Est come terra di missione. Emarginati, drogati e poveri il cuore del suo percorso di fede che lo ha portato fino al Vaticano. Don Renzo Zocca, 71 anni da Pescantina, provincia di Verona, poco più di un anno fa è diventato “famoso” per aver regalato la sua automobile, una Renault 4 bianca, al Papa. «È bastato scrivergli una lettera. Il Santo Padre ha accettato subito il mio omaggio e a settembre sono andato a Roma per portargli la macchina».
Un dono singolare e significativo: in quell’auto c’era tutto il mondo del sacerdote veneto. C’era il suo modo di essere prete. Il suo voler stare al fianco degli ultimi: «Con la mia R4 ho viaggiato in lungo e in largo per la città e le sue periferie. Ho fatto oltre 300 mila chilometri. Negli anni la carrozzeria si è impregnata dell’odore dei posti che ho girato e della gente che con me ha viaggiato: volontari, barboni, tossicodipendenti. Ormai era il simbolo della mia missione. Era essa stessa periferia. Per questo l’ho voluta regalare a Francesco», racconta don Renzo.
Una vita al fianco degli ultimi, la sua. Fatta di impegno sul territorio grazie a L’Ancora, una fondazione che si occupa di anziani e bambini e dà lavoro a una decina di giovani tra i 20 e i 25 anni. «Abbiamo creato due case-famiglia per la terza età che ospitano oltre 40 persone», dice don Renzo. «La prima è nata negli anni ’80 al Saval, la seconda nel 2010 e sorge in quella che era la vecchia casa dei miei genitori, a Settimo di Pescantina. In entrambe le strutture non abbiamo una retta fissa. Ai nostri nonni chiediamo un contributo in base a quanto possono dare. E se qualcuno non ha nulla noi non pretendiamo. Ci limitiamo ad accoglierlo», racconta.
Don Zocca nasce in una famiglia contadina. Mamma e papà credenti e praticanti: «La prima educazione religiosa l’ho ricevuta da loro», dice. A 10 anni entra in seminario per studiare. La vocazione è arrivata più tardi, a 19 anni. «Mia madre era contenta. Mio padre meno perché sperava che io, terzo di sette figli, lo potessi aiutare nei campi. Poi, però, ha accettato la decisione». A 24 anni diventa sacerdote. Il suo punto di riferimento era don Giovanni Calabria: «È stata una figura che ha influito molto sul mio percorso e sulla mia formazione».
Il primo incarico don Renzo lo riceve in una parrocchia nel centro di Verona. Poi ad Avesa, fuori città. Nel 1974, nuova destinazione: «Mi mandarono nella zona più ricca del capoluogo, a Borgo Trento. Rimasi lì cinque anni. Tutto sommato, fu un periodo positivo perché incontrai persone diverse da me e fui costretto ad affinare la mia anima contadina», ricorda. Ma il suo cammino di prete cambia ancora nel 1979. Dai quartieri altolocati alla periferia. A 35 anni arriva al Saval, zona operaia a ovest di Verona. Parrocchia di Santa Maria Maddalena: ci rimarrà per 25 anni. «Qui ho trovato un terreno vergine per applicare i principi del concilio Vaticano II», dice. «Quando ho messo piede qui non avevamo nemmeno la chiesa. Le Messe le celebravo sotto il portico della scuola elementare. Non c’era niente, solo droga, povertà e degrado. C’era bisogno di tutto e io ho dato il mio contributo».
Ma non sempre le cose filano lisce: «A volte è capitato di subire aggressioni. Una sera sono finito al pronto soccorso per un calcio alla milza. Per non parlare poi di quando un ragazzo ubriaco, una notte, mi ha puntato un coltello alla pancia solo perché gli avevo chiesto di abbassare la voce», racconta. «Al Saval ci siamo dovuti rimboccare le maniche. Alla gente non chiedevo soldi, ma di creare una comunità e di mettere a disposizione le loro competenze. Insieme, e anche grazie alle offerte, abbiamo costruito le opere parrocchiali».
Prima è arrivata la chiesa. Poi una piccola società sportiva di quartiere. In seguito il gruppo scout e, soprattutto, il doposcuola per bambini e adolescenti: «Ogni giorno arrivavano più di 70 ragazzi che, con i volontari, studiavano e passavano con noi il pomeriggio. Il messaggio cristiano passava attraverso l’attività, stando in mezzo alla gente e ai loro bisogni. Sono stati anni difficili ma belli». Al quartiere, e alla sua chiesa, don Renzo ha dedicato tutto il suo tempo. Unico diversivo, l’Hellas Verona, la squadra di calcio che milita in serie A, «di cui sono molto tifoso». Dei gialloblu è stato anche assistente spirituale. «Era il 1986, l’anno dopo lo storico scudetto. Andai dall’allora presidente e mi proposi per seguire la squadra come sacerdote. Per quattro anni è stato il mio capriccio», dice ridendo, «e ho instaurato bei rapporti con vari giocatori. Uno che ricordo? Angelo Peruzzi. Era giovane, veniva spesso a trovarmi per chiacchierare».
L’esperienza al Saval di don Renzo termina nel 2005. Oggi vive a Pescantina, nella parrocchia di Santa Lucia. Ma il quartiere in cui ha vissuto 25 anni non l’ha lasciato del tutto. Anzi. Ci torna tutti i giorni per seguire le attività della fondazione L’Ancora. Fino a qualche tempo fa lo faceva con la sua R4 bianca, quella che ora è in Vaticano. Adesso usa un’utilitaria nera. «Tra un po’, però, mi arriverà una nuova macchina», confessa il sacerdote. «Un’amica mi donerà una sua vecchia auto. Il modello? Un’altra Renault 4, ovvio».
Redazione Papaboys (Fonte www.credere.it/ Gianluca Maggiacomo)