Questa mattina, verso le 9.45, la famiglia di rifugiati siriani, ospitata dalla parrocchia vaticana di Sant’Anna, ha voluto ringraziare il Santo Padre per l’accoglienza loro offerta.
Accompagnata dall’Elemosiniere pontificio, mons. Konrad Krajewski, la famiglia si è recata a Casa Santa Marta ed ha potuto salutare il Papa e augurargli buon viaggio a Cuba e negli Stati Uniti, poco prima che Papa Francesco si accingesse a salire sulla vettura che lo portava all’aeroporto di Fiumicino.
“Ogni parrocchia accolga una famiglia di profughi. Lo faranno per prime le due parrocchie del Vaticano. Cominciamo dalla mia diocesi di Roma”. Era stata la proposta lanciata da Papa Francesco in un breve discorso poco prima dell’Angelus di 15 giorni orsono, per dare il buon esempio e rispondere concretamente all’appello da lui stesso rivolto ogni comunità d’Europa.
Nell’invito ad accogliere i profughi il Pontefice si è rivolto anche ai Vescovi: “Mi rivolgo ai miei fratelli Vescovi d’Europa, veri pastori – ha detto Papa Francesco -, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore. Anche le due parrocchie del Vaticano accoglieranno in questi giorni due famiglie di profughi”.
Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede, di essere ‘prossimi’ dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta. Non soltanto dire: ‘Coraggio, pazienza!'”, ha poi spiegato il Papa durante l’Angelus, aggiungendo: “La speranza cristiana è combattiva, con la tenacia di chi va verso una meta sicura”. “Spesso noi siamo ripiegati e chiusi in noi stessi, e creiamo tante isole inaccessibili e inospitali”, ha aggiunto il Pontefice, rilevando che “persino i rapporti umani più elementari a volte creano delle realtà incapaci di apertura reciproca: la coppia chiusa, la famiglia chiusa, il gruppo chiuso, la parrocchia chiusa, la patria chiusa; questo non è Dio, è il nostro peccato”.
di Massimo Francini per Redazione Papaboys