Sembrerebbe l’avvio di una polemica, o l’inizio di una organica provocazione del mercoledì mattina, invece la frase “I sacerdoti moderni? Tutti Instagram e Facebook” è semplicemente una benevola riflessione tesa ad inquadrare il moderno sacerdote tutt’altro che bacchettone e tradizionalista, rinchiuso nel confessionale a dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Dai pulpiti e dalle pergamene vergate dai monaci negli scriptoria i sacerdoti hanno sempre più praticato iphone e tablet rispondendo anche a una specifica richiesta rivolta loro da Benedetto XVI.
Nel messaggio per la XLIV Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali incentrato sul rapporto tra il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale, Ratzinger chiese ai sacerdoti di essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, “per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante “voci” scaturite dal mondo digitale, ed annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’apporto di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazione e la catechesi”
Dal 13 marzo 2013, giorno dell’elezione al Soglio pontificio di Papa Francesco e da quel sorprendente e riformista “buonasera!”, non si fa altro che parlare di una nuova Chiesa in cammino; di una Chiesa dalle sembianze più vive e di un’istituzione che cerca in tutti i modi di staccarsi da un passato costituito da severi protocolli e da un ambiente per molti versi cortigiano. Un ruolo decisivo in questo passaggio tra un passato statico e un presente molto dinamico e “in uscita” lo gioca il sistema mediatico che con sfrenata partecipazione si appresta a commentare tutti gli avvenimenti che coinvolgono il magistero riformista di Jorge Mario Bergoglio, e dunque l’attività della Santa Sede, le dichiarazioni di un porporato o l’intervento di tale vescovo, ma poche o rare volte si punta l’obiettivo della telecamera sulla realtà di strada vissuta del sacerdote e sul rapporto che questi giorno dopo giorno costruisce e coltiva con i fedeli della propria parrocchia. A causa del generico nonché generalizzato scarso interesse per la Chiesa del pian terreno, quella Chiesa fatta di lavoro e di dialogo, i sacerdoti senza rendersene conto portano la propria realtà in Rete condividendone momenti significativi e entrando nel circuito dei social network che oggi – possiamo affermare a giusta causa – sono parte integrante di quel processo di evangelizzazione che la Chiesa porta avanti da secoli. In quest’ottica i social network si presentano nei termini di ambienti di relazione, in cui avviene l’incontro con Cristo e si crea quel ponte tra pastorale e comunicazione 2.0.
«La nuova evangelizzazione non può che usare il linguaggio della misericordia, fatto di gesti e di atteggiamenti prima ancora che di parole». E bisogna «andare verso gli altri», dialogando con tutti. Lo ha detto Papa Francesco il 14 ottobre 2013 ricevendo nella sala Clementina i partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione guidato dall’arcivescovo Rino Fisichella.
«Nel nostro tempo si verifica spesso un atteggiamento di indifferenza verso la fede», ha detto Francesco in quell’occasione e i cristiani, con la loro testimonianza di vita, sono chiamati a suscitare delle domande in chi li incontra: «Perché vivono così? Che cosa li spinge?». «Ciò di cui abbiamo bisogno, specialmente in questi tempi, sono testimoni credibili che con la vita e anche con la parola rendano visibile il Vangelo, risveglino l’attrazione per Gesù Cristo, per la bellezza di Dio».
Nella società moderna, caratterizzata soprattutto da un allontanamento organico dei più giovani dalla Chiesa, il quale sovente si manifesta nei termini di diffidenza e sfiducia, non si deve più parlare di colpe e di responsabilità, ma proseguendo quel cammino di apertura, dialogo e di incontro avviato da Papa Giovanni XXIII con il Concilio Vaticano II, è necessario posare lo sguardo sull’opera quotidiana dei nostri sacerdoti e su quanto essi svolgono nei confronti dei giovani della loro parrocchia, degli immigrati a cui forniscono cure e provviste, delle famiglie più disagiate a cui pagano le bollette mensilmente, delle coppie che attraversano una crisi matrimoniale, degli omosessuali che cercano conforto, o semplicemente degli anziani che partecipano alla messa per sentirsi meno soli. A seguito di questa scarsa attenzione i sacerdoti “abitano la Rete” condividendo foto e postando momenti della propria giornata e non deve stupire se un selfie abbia come sfondo un altare o una pala raffigurante la Trinità o che la foto sia stata scattata nel corso di una processione di Paese.
Ha fatto sorridere il caso di don Antonio Parrillo, parroco della diocesi di Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti, in Campania, il quale ha immortalato se stesso e la nutrita e sorridente platea di fedeli nel classico selfie collettivo, che poi ha debitamente postato sul suo profilo Facebook con la didascalia: “Vi taggo nel cuore di Dio”
La vita comunitaria di una Chiesa in uscita è anche questa, infatti, secondo una ricerca, coordinata dal professor Pier Cesare Rivoltella, direttore del Cremit, e pubblicata da Avvenire il 30 maggio 2014, hanno un profilo Facebook il 17,9% dei sacerdoti diocesani, il 20,4% dei religiosi, il 59,7% dei seminaristi, il 9,3% delle religiose. I seminaristi risultano essere anche i più attivi: il 20,3% pubblica in bacheca un post al giorno o al massimo ogni due giorni contro il 7,6% delle religiose, il 14,3% dei diocesani e il 18,3% dei religiosi. Quattro sono gli “stili” di presenza ritrovati in Rete: dagli attivisti ai confessori, dagli opinionisti agli esegeti. Se le reti virtuali di un sacerdote riproducono le reti reali – la parrocchia, gli amici – diverso è il caso delle religiose, che seppur in numero minore su Facebook sono quelle che fanno un utilizzo più aperto della Rete. «La spiccata “socialità” delle religiose dipende forse proprio dalla loro ministerialità – hanno spiegato le ricercatrici Rita Marchetti e Simona Ferrari –, tra i loro contatti infatti ci sono non solo consorelle e fedeli, ma anche internauti», ossia persone conosciute direttamente, abitando la Rete e portando l’Annuncio.
Don Paolo Padrini, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Tortona, interrogandosi sul rapporto esistente tra Social media e spiritualità, ha osservato che è la sollecitudine pastorale a decidere o meno della presenza di un prete su qualsiasi social: «il prete che decide di stare sui social sa che la sua presenza è pastorale, cioè a nome di tutta la Chiesa».
Redazione Papaboys (Fonte dentrolemura.blogspot.it/Alessandro Notarnicola)