Se il 13 novembre ha segnato ufficialmente l’inizio della Terza Guerra Mondiale, ne consegue a rigor di logica che l’8 dicembre comincia un “Giubileo di guerra”: il primo dell’era contemporanea. Una Porta Santa che si apre sull’ignoto, senza precedenti e modelli di riferimento, teorici o pratici.
E’questo il suo nuovo record, al posto di quello numerico, che all’improvviso risulta drasticamente ridimensionato nelle attese statistiche. Dai trenta milioni di arrivi stimati dal CENSIS in estate a una repentina ritirata d’inverno, che si attesta sulla trincea dei dieci e auspica di non scendere ulteriormente sotto, se tutto va bene. Comunque una cifra monstre e una sfida enorme, in un’atmosfera e in un contesto bellici. Con precedenza su Hollande, che ora ne fa il principio dei suoi messaggi, e a differenza di Renzi, che invece ancora lo esorcizza, il Papa è stato antesignano nell’uso del termine, “guerra”, tramandando agli storici la cornice interpretativa di un’epoca, con l’immagine di un mondo che si sgretola e va in pezzi.
A 25 giorni dall’Immacolata, le cancellerie delle grandi potenze hanno abbandonato ogni parvenza di verginità e pudore verbale, proferendo anch’esse la parola proibita, nel modo più solenne, dalla reggia monarchica e oggi repubblicana di Versailles ai lidi sultaneschi di Antalya, ultima spiaggia e fermata utile per i duellanti Obama e Putin, stravolgendo le priorità dell’immaginario collettivo e dei propri vocabolari operativi.
La fisionomia, fisiologia e filosofia stessa dell’Anno Santo ne escono letteralmente stravolte. Come il gigante di Aladino, la “guerra” si impadronisce della scena e rimpicciolisce, declassifica e derubrica i problemi che fino a qui tenevano banco. Dalle cronache giudiziarie l’attenzione dei lettori si trasferisce alle pagine degli Esteri. Dagli arresti di mafia capitale all’urgenza di arrestare altre stragi capitali dopo Parigi. Dall’euforia, dall’entusiasmo per il prolungamento dell’effetto Expo, alla paura, e all’angoscia, per una esposizione prolungata dell’Urbe al terrorismo che infesta l’Orbe. Dal “Dream Team” di governatori da insediare in Campidoglio a una squadra di Ghostbuster che prevengano l’insidia di attentatori fantasma. Per concludere con la misericordia, che si trasforma seduta stante da paradigma ecclesiale in categoria geopolitica.
Come Salomone, Francesco si trova di fronte a una scelta odiosa: tra una “figlia primogenita” – così ha definito la Francia durante l’Angelus – che ha subito violenza, e i figli primogeniti, che fuggono dalle terre dove il cristianesimo è sorto e chiedono accoglienza sul suolo europeo. Di qui l’equilibrio della formula con cui, nell’udienza generale, ha cercato di tenere insieme i due elementi e coniugare le due istanze, alludendo esplicitamente alla gestione delle porte e delle frontiere: “La porta deve custodire, certo, ma non respingere. La porta non deve essere forzata, al contrario, si chiede permesso, perché l’ospitalità risplende nella libertà dell’accoglienza, e si oscura nella prepotenza dell’invasione”.
Poliedrico, profetico e drammatico: dei tre profili del pontificato argentino, tracciati dalla penna di Padre Antonio Spadaro, suo ritrattista di fiducia e portavoce ufficioso, l’Anno Santo assumerà verosimilmente il terzo: drammatico volgente al tragico. Il poliedro del’umanità multiculturale, caro a Bergoglio, si frantuma e invera la profezia del conflitto universale: a pezzi e da pazzi.
Celebrare un Giubileo in questo scenario, a prescindere dai massicci apparati di sicurezza, nello stadio senza tornelli di Roma “città aperta”, risulta indubbiamente un grosso azzardo. Lo era già il 13 marzo, quando Francesco lo ha indetto, figuriamoci all’indomani dell’assalto di Bataclan, che sta all’inconscio dell’Europa, tre quarti di secolo dopo, come l’attacco di Pearl Harbour a quello dell’America, trascinandola e facendola sentire psicologicamente in guerra.
Rinunciare al passaggio della Porta Santa, tuttavia, significherebbe assegnare all’IS, che si propone anch’esso come un nuovo incipit, il monopolio del reset epocale, decapitando e abbattendo indifferentemente uomini e statue.
“Ci sono posti nel mondo in cui non si chiudono le porte a chiave, ancora ci sono. Ma ce ne sono tanti dove le porte blindate sono diventate normali. Non dobbiamo arrenderci all’idea di dover applicare questo sistema a tutta la nostra vita, alla vita della famiglia, della città, della società”: Francesco dunque non cambia programma e accetta di correre il rischio davanti alla storia. Nella guerra dei simboli, che volano più alto e incidono più profondo di un drone, “Misericordia” e “Jihad” sono destinate ad affrontarsi in un apocalittico scontro: la prima cancella i peccati, la seconda vorrebbe cancellare i peccatori, come altre rivoluzioni del resto tentarono di fare prima di lei, ultima versione di un totalitarismo che ha sostituito al motore novecentesco delle ideologie il software, ben più potente, della religione.
Dopo le false partenze del Millennio e tre lustri da dimenticare, fra Torri Gemelle e Tour Eiffel, Bergoglio ingaggia dunque battaglia e vara una strategia di contrasto, tra intelligence difensiva e intelligenza creativa, in quella che la diplomazia della Santa Sede, per bocca del cardinale Parolin, ha già ribattezzato una “offensiva di misericordia”.
In tale orizzonte la porta santa che Francesco aprirà domenica 29 novembre a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana e fanale di coda del reddito pro capite, dove cristiani e musulmani si scannano a colpi di machete e muovono veloci sul ciglio del genocidio, assurge da mero antefatto a vero evento inaugurale del Giubileo, aggiornando il progetto ed evolvendone l’obiettivo, in chiave geopolitica e interreligiosa, nel nome di Dio e di Allah misericordioso.
Redazione Papaboys (Piero Schiavazzi per Huffingtonpost.it – www.huffingtonpost.it)