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Un buon prete secondo Papa Francesco: ‘ama la sua gente, è amorevole e mai rigido!’

Un sacerdote non è un rigido “professionista della pastorale”, ma un uomo sempre vicino al “popolo”, di cui è padre e fratello, e soprattutto un “apostolo di gioia” del Vangelo. Lo ha ribadito Papa Francesco ricevendo in udienza i partecipanti al Convegno organizzato dalla Congregazione per il Clero e incentrato su due documenti conciliari – l’“Optatam Totius” il e “Presbyterorum ordinis” – a 50 anni dalla loro promulgazione.

ANSA903927_ArticoloDal momento che annuncia la “buona notizia”, un prete non può che essere il ritratto della gioia del Vangelo. Pose da funzionario, un po’ altero, che ricerca spazi privati staccato dalla gente, o visi che tradiscono tristezze da persona umanamente irrisolta non possono semplicemente far parte del bagaglio di un ministro di Dio.

Non siete “funghi” spuntati a caso

Papa Francesco ritorna con vigore su un tema a lui caro e lo fa come sempre senza giri di parole. Per capire questa vocazione – afferma davanti ai convegnisti che lo ascoltano nella Sala Regia del Palazzo apostolico – bisogna considerare il fatto che, sostiene, i sacerdoti sono “presi fra gli uomini”, sono “costituiti in favore degli uomini” e sono “presenti in mezzo agli altri uomini”.

“Il sacerdote è un uomo che nasce in un certo contesto umano; lì apprende i primi valori, assorbe la spiritualità del popolo, si abitua alle relazioni. Anche i preti hanno una storia, non sono ‘funghi’ che spuntano improvvisamente in Cattedrale nel giorno della loro ordinazione (…) Questo vuol dire che non si può fare il prete credendo che uno è stato formato in laboratorio, no; incomincia in famiglia con la tradizione della fede e con tutta l’esperienza della famiglia”.

Sereni, non nevrotici
Un “buon prete”, prosegue Francesco, è anzitutto figlio di un contesto comunitario, a partire da quel “fondamentale centro di ‘pastorale vocazionale’ che è la famiglia”. E poi è un “uomo con la sua propria umanità”. È basilare, afferma, che i preti “imparino a non farsi dominare dai loro limiti, ma piuttosto a mettere a frutto i loro talenti”:

“Un prete che sia un uomo pacificato, pacificato, saprà diffondere serenità intorno a sé, anche nei momenti faticosi, trasmettendo la bellezza del rapporto col Signore. Non è normale invece che un prete sia spesso triste, nervoso o duro di carattere; non va bene e non fa bene, né al prete, né al suo popolo (…) Per favore, che i fedeli non paghino la nevrosi dei preti… Non bastonare i fedeli, vicinanza di cuore con loro”.

Ministri che “mordono”
Il Papa insiste molto sulle “radici” familiari e sociali da cui scaturisce, cresce e si fortifica una vocazione sacerdotale. Racconta un aneddoto di tanti anni fa, di un giovane sacerdote gesuita che entra in crisi, vorrebbe mollare, ma a rimetterlo in carreggiata sono gli “schiaffi spirituali” di sua madre, con la quale il futuro Papa gli ha suggerito di confidarsi. “Un prete – ripete – non può perdere le sue radici, resta sempre un uomo del popolo” e al suo servizio:

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“Sapere e ricordare di essere ‘costituiti per il popolo’ – popolo santo, popolo di Dio -, aiuta i preti a non pensare a sé, ad essere autorevoli e non autoritari, fermi ma non duri, gioiosi ma non superficiali, insomma, pastori, non funzionari (…) Io vi dico sinceramente, io ho paura a irrigidire, ho paura. Ai preti rigidi… Lontano! Ti mordono! (…) Il ministro senza il Signore diviene rigido e questo è un pericolo per il popolo di Dio”.




Il servizio è di Alessandro De Carolis per la Radio Vaticana

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