Domenica prossima, compiendo un altro dei suoi gesti profetici, Papa Francesco aprirà la Porta Santa a Bangui, la capitale della Repubblica Centraficana.
Per il resto del mondo il Giubileo comincerà dopo l’8 dicembre, quando si aprirà la Porta Santa di san Pietro in Vaticano, ma per allora la capitale povera del paese più povero del continente più povero sarà, con l’Anno Santo, già avanti di una settimana: la terra che è stata di Bokassa (sì quello del cannibalismo) precede quella di Pietro. La periferia più periferia che ci sia batte il massimo del centro una settimana a zero. Insomma, noi inizieremo l’8 dicembre loro il 29 novembre.
L’apertura della Porta Santa è materialmente l’apertura di una porta: quella di una cattedrale, quella di un santuario – con questo Papa, per i carcerati, sarà anche oltrepassare la porta della propria cella – e simbolicamente significa per i credenti l’indulgenza delle pene dovute ai propri peccati. Con Bangui, la periferia più periferia che ci sia apre una porta al resto del mondo; una porta simbolo di tutto quello che Papa Francesco predica e fa da quando è papa: abbattere muri, costruire ponti. Un muro lo puoi abbattere anche aprendo una porta. Anzi, spesso, lo abbatti solamente aprendo una porta.
Con Papa Francesco bisogna fare attenzione ai gesti simbolici. Con lui non sono metafore per alleggerire i discorsi pesanti, non sono artifici per spiegare contenuti difficili. Con lui i simboli sono quello che sono le opere per i bei ragionamenti: sono la realtà spiegata ai piccoli. La realtà di una cosa grande come la misericordia divina, passa tutta per il simbolo di una semplice porta che si apre. La realtà è sempre tangibile, è sempre visibile, anche quando non la tocchi e non la vedi come accade con le realtà spirituali. Non sono reali le nostre ansie e le nostre paure? Non sono reali i nostri desideri? La realtà è il mantenimento delle promesse. Il simbolo fa quello che la bocca dice.
Con Papa Francesco è morta “la poetica”. Dei poveri e delle periferie, del costruire ponti e non muri. Con Papa Francesco è morto il “papa poetico” ed esiste il Papa “che fa”, che apre una porta santa in Africa con una settimana di anticipo rispetto a noi perché “gli ultimi saranno i primi” non è slogan ma è realtà. Quando l’8 dicembre apriremo qui a san Pietro la Porta Santa, troveremo loro ad aspettare noi: saranno lì da otto giorni, avanti a noi ad aspettarci. Belli i simboli, ascoltiamoli. Sono le parole più chiare che potremmo mai dire.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da L’Huffingtonpost