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«Io, magistrato laico, vi spiego perché togliere i simboli cristiani dalle scuole è una violenza»

Da quando si è dilatato il fenomeno dell’immigrazione, con conseguente massiccio arrivo nel nostro Paese di migliaia di migranti di fede islamica, si assiste ciclicamente al riemergere di fondamentalismi che si ritenevano superati dalla storia. In questa occasione mi sento dunque obbligato a fare chiarezza, soffermandomi a parlare del fondamentalismo a sfondo etnico-religioso, della giusta collocazione dei simboli religiosi nel quadro della libertà di culto, facendo tesoro dei principi costituzionali che mi sembrano (malgrado la Costituzione risalga al 1948) moderni, lungimiranti e al passo con i tempi.

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Afferma dunque l’art. 19 che tutti, senza distinzione, hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di diritti contrari al buon costume. Ancor prima l’art. 3 afferma la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di religione, facendo obbligo alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento della parità. Qualora si rifletta sul significato dei richiamati principi, tanti atteggiamenti si condannano da soli e prese di posizione basate su un malinteso senso del rispetto per il diritto al dissenso rivelano l’assoluta fragilità delle premesse che sono alla loro base.

Valga il vero. “L’Assessore mette un crocifisso e il Sindaco Pd lo caccia via” (ottobre 2012) per finire (si fa per dire) ai giorni nostri: “Il Preside nega il concerto di Natale” (a Rozzano); “Il Preside non autorizza la visita del Vescovo” (nel Sassarese); “Il Vescovo di Padova invita a fare tanti passi indietro per mantenerci nella pace”. Il perché del mio aperto dissenso, da giurista e non da credente, è presto detto. Intanto, come ho ricordato, libertà religiosa e libertà di culto sono massimamente tutelati dalla Costituzione, la quale non sceglie affatto di trasformare in un valore la cosiddetta laicità. Lo Stato è laico ma i cittadini fanno bene, per se stessi e per i figli, a coltivare una formazione religiosa.

In secondo luogo, escludere i simboli religiosi dalle scuole, violando consuetudini che si perdono nel tempo, ha il significato di un atto di violenzache nei confronti dei più piccoli che alla festa del presepe e alla presenza del crocifisso sono da sempre abituati, al pari dei canti natalizi e dell’alberto di Natale. In questo i bambini sono andati oltre ogni pregiudizio, a prescindere dal credo religioso, come pure gli adulti musulmani interpellati che hanno convenuto sulla “non offensività” dei simboli cristiani.

In terzo luogo, l’idea dell’integrazione non presuppone la cancellazione della propria identità, né questa può costituire una “provocazione”. Se così fosse, dovremmo bandire la libertà di culto, che è invece garantita dalla Costituzione. In quarto luogo, non si capisce il nesso tra pace, amicizia e fratellanza e il bando del Natale e del crocifisso dall’altra: dobbiamo allora abolire le feste scolastiche natalizie? Infine, presepe e crocifisso non sono simboli che dividono: il primo evoca il ricordo di una società bucolica fatta di persone semplici e timorate; il secondo è un clamoroso esempio di “risarcimento” nei confronti della più illustre vittima di un errore giudiziario nella storia (Gesù Cristo).

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L’Associazione genitori (AGE) ha affermato che «l’inclusione non passa per la cancellazione della storia, delle tradizioni e dei simboli fondanti e identitari di un popolo e di un Paese». Tolleranza e reciproca conoscenza sì, ma non bollando il cristianesimo, che ha contrassegnato e permeato la storia e le manifestazioni artistiche e letterarie della nostra Italia. Tuteliamo quindi la libertà di culto e di religione degli altri, ma senza negare la stessa a noi medesimi!

Redazione Papaboys (Fonte Quotidiano Libero)

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