Gli innocenti che rendono testimonianza a Cristo non con le Parole, ma con il sangue, ci ricordano che il martirio è dono gratuito del Signore. Le vittime immolate dalla ferocia di Erode appartengono, insieme a santo Stefano e all’evangelista Giovanni, al corteo del re messiniaco e ricordano l’eminente dignità dei bambini nella Chiesa. (Mess. Rom.)
Patronato: Bambini
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Festa dei santi Innocenti martiri, i bambini che a Betlemme di Giuda furono uccisi dall’empio re Erode, perché insieme ad essi morisse il bambino Gesù che i Magi avevano adorato, onorati come martiri fin dai primi secoli e primizia di tutti coloro che avrebbero versato il loro sangue per Dio e per l’Agnello.
Quando Erode si accorse di essere stato ingannato dai Re Magi decise di sterminare i bambini di Betlemme di Giudea, quelli dai due anni in giù e se san Giuseppe non avesse creduto all’Angelo e non fosse fuggito in Egitto, in quella strage ci sarebbe stato anche Gesù. La Chiesa celebra la memoria dei Santi Innocenti tre giorni dopo la nascita del Salvatore: «Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più» (Mt 2, 18).
Il vero innocente agli occhi di Dio è la creatura che non conosce malizia, non conosce menzogna, non conosce bruttura e nessuno è più innocente di un bambino che si affida totalmente, perdutamente e con amore a sua madre. Questo affidarsi ciecamente, oggi, è divenuto molto pericoloso, poiché l’Innocenza viene minata fin dal principio e non soltanto con l’eliminazione su vasta scala della persona (l’aborto), ma anche con l’eliminazione dell’integrità morale e con l’inoculazione di idee contro la Fede, contro il diritto naturale (si pensi alla teoria del gender), contro la ragione.
Quale consolazione dare? «Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più». Nessuna consolazione vogliono coloro che rifiutano che il peccato e lo stravolgimento della legge naturale si abbattano sull’infanzia, ma, come fecero le madri di Betlemme, tentano di fare scudo fra gli Erode contemporanei e i bambini.
«Èvvi ancora un soldato che ha tolto per forza un putto, e mentre correndo con quello se lo stringe in sul petto per amazzarlo, se li vede appiccata a’ capegli la madre di quello con grandissima rabbia; e facendoli fare arco della schiena, fa che si conosca in loro tre effetti bellissimi: uno è la morte del putto che si vede crepare, l’altro l’impietà del soldato che per sentirsi tirare sì stranamente mostra l’affetto del vendicarsi di esso putto, il terzo è che la madre, nel veder la morte del figliuolo, con furia e dolore e sdegno cerca che quel traditore non parta senza vendetta: cosa veramente più da filosofo mirabile di giudizio che da pittore», così scrive nell’opera Vite Giorgio Vasari nel suo splendido commento all’affresco (1486-1490) di Domenico Ghirlandaio, presente in Santa Maria Novella a Firenze.
Sono ancora le madri le protagoniste della scena che Duccio da Buoninsegna ci offre sulla strage dei Santi Innocenti nella tavola (1308-1311) del Museo dell’Opera del Duomo in Siena: sono ammassate in disparte, affrante dal dolore e stringono fra le loro braccia i corpicini martoriati; esse ricordano vividamente le icone della Madonna con il Bambino Divino.
Il contrasto formidabile tra la ferocia del potere politico e la tenerezza per gli affetti delle madri dà forma alla scena raffigurata nell’affresco di Giotto (ca. 1304-1306) della Cappella degli Scrovegni a Padova. In alto, su una tribuna, Erode ordina il massacro che i suoi sicari intabarrati eseguono con freddo cinismo e scrupolo; a fronte di essi, madri dolenti invocano inutilmente pietà, mentre si oppongono fisicamente e coraggiosamente all’eccidio. L’affresco si inserisce, non a caso, in una meditata logicità della narrazione evangelica, che ricopre le pareti della Cappella, esso è posto di fronte alla scena della Crocifissione di Gesù: il Figlio di Dio che si era salvato dal massacro dei piccoli martiri-agnelli, ora muore, innocente e martirizzato, per la salvezza di ogni uomo, anche per gli Erode di tutti i tempi, attuali più che mai.
Scriveva nel 1912 Charles Peguy nel suo Le Mystère des Saints Innocents: «Si mandano i figli a scuola, dice Dio. Io penso che sia perché dimentichino il poco che sanno. Si farebbe meglio a mandare a scuola i genitori. Son loro che ne hanno bisogno. Ma naturalmente ci vorrebbe una scuola di Me. E non una scuola di uomini. Si crede che i bambini non sappiano nulla. E che i genitori e le persone grandi sappiano qualcosa. Ora io ve lo dico, è il contrario. (È sempre il contrario). Sono i genitori, sono le persone grandi che non sanno nulla. E sono i bambini che sanno. Tutto. Perché essi hanno l’innocenza prima. Che è tutto.
Anche la vita è una scuola, dicono. Vi si impara tutti i giorni. La conosco, questa vita che comincia col battesimo e finisce con l’estrema unzione. È un’usura perpetua, un costante, un crescente avvizzimento. Si scende sempre. Si riempiono d’esperienza, dicono; guadagnano esperienza; imparano a vivere; di giorno in giorno accumulano esperienza. Singolare tesoro, dice Dio. Tesoro di vuoto e di carestia. Tesoro di rughe e di inquietudini. Quello che voi chiamate esperienza, la vostra esperienza, io la chiamo dispersione, la diminuzione, la decrescenza, la perdita della speranza. Ora è l’innocenza che è piena ed è l’esperienza che è vuota. È l’innocenza che vince ed è l’esperienza che perde. È l’innocenza che è giovane ed è l’esperienza che è vecchia. È l’innocenza che sa ed è l’esperienza che non sa. È il bambino che è pieno ed è l’uomo che è vuoto». Oggi si vuole e si pretende che il bambino si svuoti per riempirsi di errori dei grandi, grandi soprattutto nel peccato e nell’infelicità
Autore: Cristina Siccardi