Dio è sempre vicino all’uomo, di una prossimità “domestica”, accanto ai suoi bisogni quotidiani. Questa è stata l’esperienza di Maria nei suoi 30 anni a Nazareth, “senza clamori” né “visioni”. Lo ha ricordato padre Ermes Ronchi nell’ultima meditazione degli esercizi spirituali predicati a Papa Francesco e alla Curia Romana, terminati in mattinata ad Ariccia. La riflessione del predicatore è stata incentrata sul brano evangelico dell’Annunciazione. Il servizio di Alessandro De Carolis per Radio Vaticana.
“Un giorno qualunque, in un luogo qualunque, una giovane donna qualunque”. La scena di un evento “colossale”, l’angelo che visita Maria a Nazareth, avviene in un contesto di normalità disarmante. Perché è la semplicità la cifra di Dio.
“Dio è in cucina”
Per la meditazione conclusiva degli esercizi spirituali padre Ermes Ronchi propone al Papa e alla Curia un viaggio dentro i versetti dell’Annunciazione, l’evento che, nota il predicatore, “accade nel quotidiano, senza testimoni, lontano dalle luci e le emozioni del tempio”. “Il primo annuncio di grazia del Vangelo è consegnato nella normalità di una casa”, ovvero – dice padre Ronchi – nel luogo dove ognuno è se stesso. Ed è lì che “Dio ti sfiora e ti tocca”:
“Santa Teresa d’Avila ne ‘Il Libro delle Fondazioni’ (…) ha scritto per le sue monache una lettera tra cui queste parole: sorelle ricordatevi, Dio va fra le pentole, in cucina. Ma come, il Signore dell’universo che si muove nella cucina del monastero, fra brocche, pentole, stoviglie, casseruole e tegami (…) Dio in cucina, significa portare Dio in un territorio di prossimità (…) Se non lo senti domestico, cioè dentro le cose più semplici, non hai ancora trovato il Dio della vita. Sei ancora alla rappresentazione razionale del Dio della religione”.
Promessa di felicità
A Maria guardiamo, afferma il predicatore, proprio “per tentare di ricucire lo strappo più drammatico della nostra fede”: il “Dio della religione” che “si è separato dal Dio della vita”. La donna di Nazareth, prosegue, “come donna di casa, ci lancia una sfida enorme: passare da una spiritualità che si fonda sulla logica dello straordinario ad una mistica del quotidiano”. E in questo quotidiano il sentimento prevalente è la gioia. Lo sono le prime parole dell’Annunciazione: “Rallegrati Maria”. Perché quando Dio si avvicina “porta una promessa di felicità”:
“A noi che siamo ammantati di gravità e di pesantezze, ammantati di responsabilità anche, Maria ricorda che la fede o è gioiosa fiducia o non è (…) Maria entra in scena come una profezia di felicità per la nostra vita, come una benedizione di speranza, consolante, che scende sul nostro male di vivere, sulle solitudini patite, sulle tenerezze negate, sulla violenza che ci insidia ma che non vincerà, perché la bellezza è più forte del drago della violenza, assicura l’Apocalisse. E l’angelo con questa prima parola dice che c’è una felicità nel credere, un ‘piacere’ di credere”.
All’opera nelle nostre case
Maria poi, indica padre Ronchi, “entra in scena come una donna che crede nell’amore”. “L’Angelo – si legge nel Vangelo – fu mandato a una vergine, promessa sposa di un uomo chiamato Giuseppe”. Secondo l’evangelista Luca, rileva il predicatore, l’annunciazione è fatta a Maria, secondo Matteo invece a Giuseppe:
“Ma se sovrapponiamo i due Vangeli vediamo con gioia che l’annuncio è fatto alla coppia, allo sposo e alla sposa insieme, al giusto e alla vergine innamorati (…) E Dio è all’opera nelle nostre relazioni, parla dentro le famiglie, dentro le nostre case, nel dialogo, nel dramma, nella crisi, nei dubbi, negli slanci (…) Ecco che Dio non ruba spazio alla famiglia, non invade, non ferisce, non sottrae, cerca un sì plurale, che diventa creativo perché è la somma di due cuori, la somma di molti sogni e moltissimo lavoro paziente”.
Fede granitica o fragile, purché autentica
Infine, Maria sa chiedere a Dio, chiede come potrà accadere ciò che le è stato prospettato. “Avere perplessità, porre domande è un modo per stare davanti al Signore con tutta la dignità umana”, sostiene padre Ronchi. “Accetto il mistero, ma al contempo uso tutta la mia intelligenza. Dico quali sono le mie strade e poi accetto strade al di sopra di me”:
“Da nessuna parte è detto che la fede granitica sia meglio della fede piccola intrecciata a domande. Basta che sia autentica (…), quella che nella sua piccolezza ha ancora più bisogno di Dio. E infatti quello che mi dà speranza è vedere come nel popolo di Dio continuano a crescere le domande, nessuno si accontenta più di risposte… di parole già sentite, di risposte da prontuario, vogliono capire, andare più a fondo, vogliono fare propria la fede. Un tempo quando tutti tacevano davanti al sacerdote era un tempo di maggior fede? Credo sia vero il contrario e se questo è più faticoso per noi, è anche un alleluia, un finalmente”.
Il pensiero conclusivo è sulla maternità di Dio. “Senza il corpo di Maria il Vangelo perde corpo”, è la considerazione finale di padre Ronchi. E tutti i cristiani “sono chiamati a essere madri di Dio, perché Dio ha sempre bisogno di venire al mondo”.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)