I Cristiani hanno sempre avuto chiara questa consapevolezza: sapersi come agnelli in mezzo ai lupi (Mt 10,16). Come Cristo stesso passò attraverso la morte per giungere alla risurrezione e alla gloria, così anche la cristianità sa che il martirio le apre la via alla vera vita che è poi il vivere in Dio eternamente. Chi vuole entrare con Cristo nella gloria, deve percorrere con Cristo la via della Croce. Lo scandalo e il paradosso della fede è nell’uomo ritto in piedi con le braccia aperte.
Quell’Uomo è la chiave che consente ad ognuno di noi di decifrare se stesso. Il Crocifisso è “veramente capace di farci conoscere Dio” (cit. Lutero). Nel Crocifisso il Cielo abita anche sulla terra. I ci raccontano che Cristo non è un filosofo manierato o un imperatore, ma uno di fronte al quale non si può rimanere indifferenti: Egli esige decisione. Il Crocefisso è stato il simbolo consolatore delle afflitte comunità cristiane dei primi secoli. E ancora oggi Egli non cessa di consolare quanti sono perseguitati a motivo della loro fede. Il Vangelo di Cristo Crocefisso libera l’uomo dal suo peccato perché lo libera dalla sua condizione di morte che consiste nell’ostinazione a non voler riconosce Dio come proprio Creatore decidendo in assoluta autonomia ciò che è bene e ciò che è male. Il credente in Cristo deve sempre essere pronto a mostrare agli altri le ragioni, i motivi, i “perché” che sostengono la sua fede. Anche quando costa fatica. E le ragioni che sostengono la fede dei credenti di oggi sono in fondo identiche a quelle che hanno sostenuto i martiri di ogni tempo nella professione della loro fede: non possiamo vivere senza Cristo (dicevano gli antichi martiri di Abitene). A tutto possiamo rinunciare, ma non a Cristo, alla sua Chiesa e al suo vangelo. La fede in Lui vale più della vita stessa, perché una vita senza Cristo è vuota e senza senso. La Chiesa brasiliana vanta numerose figure di testimoni: non solo nel clero ma anche nel laicato, la cui fama di santità è viva e notevolmente sentita. Figure, germogliate nella ferialità di una fede forte e costante, che nonostante la loro giovane età hanno lasciato un segno fecondo e duraturo di fede. Basti pensare, a tal proposito, ad alcune che contemplano già il Volto amorevole di Dio. Dalla beata Albertina Berkenbrock, uccisa alla sola età di soli 12 anni, al Servo di Dio Nelson Santana; dalla Serva di Dio Odetinha Vidal Cardoso, al piccolo Servo di Dio Antoninho da Rocha Marmo, per non dimenticare, poi, la testimonianza eroica della Serva di Dio Isabel Cristina Mrad Campos e tante, veramente tante altre. L’esperienza dei martiri e dei testimoni della fede caratterizza ogni epoca. Il secolo XX, probabilmente, ancor più nei primi secoli del cristianesimo, ha raccolto la testimonianza di fede, con sofferenze spesso eroiche, di diversi cristiani. San Giovanni Paolo II, ha ricordato che «nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi “militi ignoti” della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze» (Tertio Millennio Adveniente, 37). Confortata da questa certezza la Chiesa «“prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1 Cor 11,26)» (Lumen Gentium, 8).
Don Emanuele Gómez Gonzalez nacque il 29 maggio 1877 presso Tuy-Pontevedra, in Spagna, da Giuseppe e Giuseppa Gonzalez. Terminato il percorso di studi richiesto, il 24 maggio 1902 ricevette l’ordinazione presbiterale nel suo paese natale ed iniziò ad esercitare il ministero presbiterale nella sua diocesi. Dal 1904 fu accolto nella vicina diocesi di Braga, in Portogallo, divenendo parroco di Val de Vez e poi, nel 1911, di Monsaò. Con l’insorgere di problemi politici e religiosi, nel 1913 gli fu concesso di salpare per il Brasile. Qui, dopo una tappa a Rio de Janeiro, monsignor Miguel de Lima Valverde lo accolse nella diocesi di Santa Maria (Rio Grande do Sul). Per breve tempo fu, dunque, parroco Soledade, finchè il 7 dicembre 1915 gli fu affidata l’immensa parrocchia di Nonoai, quasi una piccola diocesi: qui svolse una così intensa opera pastorale da cambiare in otto anni il volto della stessa parrocchia, prendendosi cura anche degli indios e dovendosi occupare talvolta anche della vicina cappellania di Palmeiras de Missoes, come quale suo amministratore. Proprio nel territorio di questa seconda parrocchia affidata alle sue cure avrebbe, in seguito, subito il martirio. Adílio Daronch, di origini italiane, era nato, infatti, in un nucleo familiare di modeste condizioni sociali, discendente diretto di una famiglia emigrata dall’Italia, originaria di Agordo (provincia di Belluno), comune posto nel territorio dell’Agordino, invece, nacque il 25 ottobre 1908 presso Dona Francisca, nella zona di Cachoeira do Sul (Rio Grande do Sul) in Brasile. I suoi genitori, Pedro Daronch e Judite Segabinazzi, avevano 8 figli: nel 1911 la famiglia si trasferì a Passo Fundo e nel 1913 a Nonoai. Adílio faceva parte del gruppo di adolescenti che accompagnava Padre Manuel nei suoi lunghi e faticosi viaggi pastorali, tra cui quello presso gli indios Kaingang. Fedele chierichetto, Adílio era anche alunno della scuola fondata dal missionario. Il vescovo di Santa Maria , monsignor Atico Eusebio da Rocha, chiese al sacerdote spagnolo di recarsi in visita presso un gruppo di coloni teutonici brasiliani stanziati nella foresta Três Passos. Dopo aver celebrato la Settimana Santa nella parrocchia di Nonoai, Padre Manuel si incamminò con il giovane Adílio nonostante la regione fosse scossa da movimenti rivoluzionari. Sostò in un primo tempo a Palmeria, ove amministrò i sacramenti e non mancò di esortare al rispetto reciproco i rivoluzionari locali, almeno in nome della comune fede cristiana. I più estremisti non gradirono però l’intervento del religioso, neppure l’aver dato sepoltura per pietà cristiana alle vittime delle bande locali. Proseguirono poi il loro viaggio verso Braga ed in seguito nella colonia militare della zona, ove il 20 maggio 1924 celebrò per l’ultima volta l’Eucaristia. I fedeli indigeni avvertirono il sacerdote del pericolo che avrebbe corso inoltrandosi nella foresta, ma egli non diede loro ascolto, ardendo dal desiderio di portare loro la grazia divina ed i sacramenti. Giunti ad un bottega, in cerca di informazioni su come raggiungere i coloni di Três Passos, trovarono dei militari che con gentilezza si offrirono di accompagnarli. Si trattava in realtà di un’imboscata appositamente organizzata: Padre Manuel ed il suo fedele ministrante Adílio, allora appena sedicenne, furono in realtà condotti in una remota zona della foresta ove ad attenderli trovarono i capi militari. Giunti su un’altura, i due compagni di martirio vennero legati a due alberi e fucilati, morendo così in odio alla fede cristiana ed alla Chiesa cattolica. Era il 21 maggio 1924. Le bestie della foresta rispettarono quasi miracolosamente i corpi dei due martiri e solo dopo quattro giorni i coloni di Três Passos riuscirono a dar loro sepoltura. Dal 1964 le loro spoglie, ormai considerate vere e proprie reliquie, vennero traslate nella Chiesa parrocchiale di Nonoai, mentre sulla collina di Feijão Miúdo venne eretto un monumento a ricordo del loro martirio. I cristiani del luogo mai dimenticarono l’eroica testimonianza del parroco e del chierichetto morti per amore del Vangelo e numerosi devoti presero ad accorrere sulle loro tombe ed invocare aiuto dal Signore per loro intercessione. Dopo un rapidissimo processo di beatificazione il 16 dicembre 2006, finalmente, Papa Benedetto XVI poté riconoscere ufficialmente il martirio di questi due fedeli servi della causa di Cristo. Il Cardinale José Saraiva Martins procedette, poi, alla loro beatificazione il 21 ottobre 2007 nella cattedrale di Sant’Antonio in Federico Westphalen.
La vita di questi martiri, il loro messaggio, la loro testimonianza, la loro morte eroica sono un appello alla nostra coscienza, alla nostra fedeltà e al nostro modo di seguire Cristo e il Vangelo. Non si tratta di persone sconosciute, né di uomini che appartengano ad un passato storico lontano; hanno invece voce e volto ben definiti, sono persone vive, attuali, che ci parlano con l’audacia e la forza della verità e con il loro deciso amore per la giustizia. “L’esperienza dei martiri e dei testimoni della fede – dice San Giovanni Paolo II – non è caratteristica solo della Chiesa degli inizi, ma connota ogni epoca della sua storia. Nel secolo XX, poi, forse ancor più che nel primo periodo del cristianesimo, moltissimi sono stati coloro che hanno testimoniato la fede con sofferenze spesso eroiche. Quanti cristiani, in ogni continente, nel corso del Novecento, hanno pagato il loro amore a Cristo anche versando il sangue! Essi hanno subito forme di persecuzione vecchie e recenti, hanno sperimentato l’odio e l’esclusione, la violenza e l’assassinio. Molti Paesi di antica tradizione cristiana sono tornati ad essere terre in cui la fedeltà al Vangelo è costata un prezzo molto alto” (Omelia per la Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del secolo XX, 7 maggio 2000).
Andrea Maniglia