È una storia strana quella di Maria, la discepola di Gesù originaria di Magdala, un villaggio di pescatori sul lago di Tiberiade, centro commerciale ittico denominato in greco Tarichea, cioè “pesce salato”. La sua figura fu, infatti, sottoposta a una serie di equivoci.
Noi vorremmo partire proprio da quell’alba primaverile evocata da un brano del Vangelo di Giovanni che la liturgia di Pasqua ci propone, sia pure parzialmente (20, 1-18). Maria è davanti al sepolcro ove poche ore prima era stato deposto il corpo esanime di Gesù. Paradossale è l’equivoco in cui cade la donna che scambia quel Gesù, ritornato a nuova vita e presente davanti a lei, col custode dell’area cimiteriale. Come è potuto accadere questo inganno? La risposta è nella natura stessa dell’evento pasquale che incide nella storia ma è al tempo stesso un atto soprannaturale, misterioso, trascendente. Per “riconoscere” il Risorto non bastano gli occhi del volto e neppure aver camminato con lui e ascoltato i suoi discorsi sulle piazze palestinesi o cenato con lui. E necessario uno sguardo profondo, un canale di conoscenza superiore. Infatti Maria “riconosce” Gesù quando la chiama per nome e gli occhi della sua anima si aprono ed esclama «in ebraico Rabbunì, che significa: Maestro! » (20, 16) e, così, riceve la missione di essere testimone della risurrezione: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro. Maria di Magdala, allora, andò subito ad annunziare ai discepoli: Ho visto il Signore! e anche ciò che le aveva detto» (20, 17-18).
Redazione Papaboys (Fonte www.nondisolopane.it)