L’incontro in Vaticano tra Papa Francesco e Al-Tayyib è il primo dopo la rottura consumatasi a Ratisbona nel 2006 a causa del modo in cui furono utilizzate alcune parole di Benedetto XVI. Viene ricucito uno strappo che avvenne quando il Papa di allora aveva sostenuto, senza essere capito, che l’uso corretto della ragione era il vero antidoto alla violenza.
Wael Farouq ha commentato lo storico evento dell’abbraccio tra l’Imam e il Papa dicendo che “Francesco è una persona certa della sua fede, e questa certezza lo rende disponibile a incontrare chiunque e a vedere in ogni persona e in ogni cultura una possibilità di arricchimento prima che una minaccia. Questo modo aperto di concepire il rapporto con l’alterità è l’antidoto più potente alla violenza, al sospetto e allo scetticismo che sono sempre più presenti nel mondo“.
A Ratisbona erano state usate parole per costruire muri, adesso le parole servono per costruire ponti. In maniera molto significativa, Papa Francesco non ha regalato all’Imam il catechismo o il vangelo, ma l’ Enciclica Laudato Si e il medaglione con l’ulivo della pace. Cioè, non si è andati a parlare di ciò che divide ma di ciò che unisce, ovvero del bisogno di pace. Che è come il cemento, la colla, la malta, tra i mattoni. Infatti, per costruire, i mattoni non sono sufficienti. Ci vuole anche che si tengano insieme, che siano incastrati e incollati. Non basta che i grandi della Terra si incontrino, ci vogliono che si ascoltino, che parlino di cose così importanti da tenerli almeno mezz’ora nella stessa stanza e che facciano venir loro voglia di rivedersi. Così è stato: dicono le agenzie che il Papa e l’Imam si sono intrattenuti principalmente sul tema del comune impegno delle autorità e dei fedeli delle grandi religioni per la pace nel mondo, il rifiuto della violenza e del terrorismo, la situazione dei cristiani nel contesto dei conflitti e delle tensioni nel Medio oriente e la loro protezione. Cioè sono stati uniti non da temi cristiani o islamici, ma umani. Pace, non violenza, protezione delle minoranze. Regalare un simbolo di pace è parlare di Dio, il nostro Dio, quello di tutti. Parlare del creato è parlare della casa comune dove tutti siamo figli, ospiti, custodi. Siamo fiori tutti del medesimo campo.
Purtroppo nel 2006 a Ratisbona le parole di Papa Benedetto XVI vennero tolte dal contesto, e così non solo morirono ma divennero velenose. I fiori sono belli e importanti se rimangono collegati al prato. Se ci facciamo prendere dalla tentazione di toglierli dal loro contesto, li strappiamo e li portiamo a casa, otterremo solo di vederli morire velocemente. I fiori fuori contesto vitale, senza radici e senza terreno, appassiscono sempre. Appena tolti dal prato pare non cambi nulla, sembra che rimangano molto belli ma dopo poco quella bellezza varia, cambia, muore. Così con le parole. Le togliamo dal contesto e pare siano le stesse ma poi cambiano. A volte ci tornano ripetute – esattamente ripetute – da altri, e le troviamo cambiate. Ci viene da dire che non avevamo detto così anche se in realtà le parole erano quelle.
Le parole sono come fiori: come dobbiamo stare attenti con i fiori così con le parole. Il contesto in cui sono dette non è un accessorio, è la loro radice, il loro terreno.
Le parole senza il loro contesto sono parole senza radici che fanno appassire velocemente i rapporti. Fanno puzzare di marcio le relazioni. Un rapporto si rompe a causa di alcune parole e noi diciamo a noi stessi facendo spallucce: io non c’entro, gli ho solo detto la verità. Ma quella verità aveva radici, aveva contesto?
Se invece le parole sono lasciate nel loro campo tra gli altri fiori, tra gli altri pensieri, tra quei pensieri che le contornano, saranno parole che costruiscono ponti. Che rimangono aperti al polline, ai passi, alla vita. Pare che Papa Francesco abbia la capacità di dire parole che rimangano nel loro contesto, che recano con sé le loro proprie radici e il loro proprio prato. Sembra proprio che sappia costruire, con la sua persona, occasioni di incontro e di dialogo che sono come la stoffa nuova per la veste nuova di cui parla il vangelo.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlSussidiario.net