La Santa Messa è fonte e culmine di tutta la vita cristiana, anticipo del banchetto celeste dove ci è dato il pegno della Vita futura. Come nella parabola del Vangelo, però, non tutti vi prendono parte o vi assistono in modo degno. Ecco alcune istruzioni e consigli per non sciupare una grazia tanto grande.
Nella sua prima lettera san Giovanni, il Discepolo prediletto del Signore, ci ricorda che l’amore di Dio per noi, fino all’eccesso, deve essere come il modello e la ragione per la quale dobbiamo amare il nostro prossimo: «Da questo abbiamo conosciuto l’amore di Dio: Egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli» (1Gv 3,16). «Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15), ha detto Nostro Signore nella notte durante la quale ha istituito il suo divino Sacrificio. Una pagina del Vangelo di san Luca, poi, offre come un complemento degli insegnamenti della festa del Corpus Domini. San Tommaso ha scelto appunto l’inizio di questa pagina evangelica: «Un uomo diede una gran cena» (Lc 14,16) come responsorio per i Primi Vespri della festa. È commovente la melodia gregoriana di questo responsorio. Nostro Signore paragona il Regno dei cieli a un banchetto, ma gli invitati scortesi ricusano di presentarvisi. La Santa Messa è la prefigurazione, l’anticipo di quel banchetto sacro («sacrum convivium») del Cielo, dove ci è dato il pegno della vita futura («futurae gloriae nobis pignus datur»). Ma purtroppo, tanti cristiani, invitati a quel banchetto sacro, ricusano di andarvi, si mostrano scortesi. Trascurano la Santa Messa, o vi assistono con tanta negligenza, tanta distrazione e fastidio! Ed è veramente un brutto segno, quasi un segno di riprovazione, perché se seguiamo l’insegnamento del divin Maestro, pare che verranno gettati fuori dal Paradiso: «Perché vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena». Parole terribili, dato che sono pronunciate dall’Amore stesso!
Allora, cari fratelli, affinché noi non abbiamo ad esser annoverati tra quegli sciagurati invitati scortesi, vorrei ricordare brevemente l’eccellenza del Sacrificio della Messa, quali sono i suoi frutti e come dobbiamo assistervi.
1) Il Santo Sacrificio della Messa è fonte e culmine di tutta la vita cristiana, è «il maggior atto di contemplazione che si possa offrire» (San Vincenzo Ferreri). La partecipazione alla Santa Messa è l’atto più alto della virtù di religione e del culto cristiano. Per ogni anima, la Messa deve essere ogni mattina (almeno ogni domenica) la fonte dalla quale derivano tutte le grazie di cui abbiamo bisogno durante la giornata (la settimana). Tutte le grazie vengono dalla Santa Messa, tramite Maria Santissima.
La Messa dovrebbe essere nell’ordine soprannaturale quello che è nell’ordine naturale il sorgere del sole. Troppo sovente, la nostra assistenza alla Messa, per mancanza di fede, degenera in una routine, e non riceviamo dalla Santa Messa tutti i frutti che dovremmo riceverne. Invece dovrebbe essere il più grande atto della giornata, e tutti i nostri altri atti dovrebbero essere soltanto l’accompagnamento di questo atto.
L’eccellenza del Sacrificio della Messa viene dal fatto che è sostanzialmente lo stesso Sacrificio della Croce, perché è lo stesso Sacerdote che continua presentemente a offrirsi tramite i Suoi ministri, e perché è la stessa Vittima, realmente presente sopra l’altare, che è offerta. Soltanto il modo di offrire è diverso: immolazione cruenta sulla Croce, immolazione sacramentale nella Messa, grazie alla separazione, non fisica, ma sacramentale del Corpo e del Sangue di Nostro Signore, per virtù della doppia consacrazione (del pane e del vino, separati). Questa immolazione sacramentale è segno dell’oblazione interiore di Gesù che non cessa mai di intercedere per noi. San Giovanni Crisostomo scrive: «Quando vedete all’altare il ministro sacro che eleva verso il cielo l’Ostia santa, non dovete credere che questo uomo sia il sacerdote principale, ma, alzando i vostri pensieri al di là dei sensi, considerate la mano di Gesù Cristo invisibilmente stesa».
Nel Sacerdote, i miscredenti vedono un uomo, sentono un uomo e forse disprezzano un uomo. Ma quelli che hanno la fede trovano, in quest’uomo, Dio stesso che il Sacerdote gli dà. Il Sacerdote è un altro Cristo.
Ecco la grandezza della Messa e la dignità del Sacerdozio, che faceva dire al santo Curato d’Ars che se avesse incontrato un Angelo e un Sacerdote, si sarebbe inchinato davanti al Sacerdote prima di salutare l’Angelo. Nella Messa il Sacerdote, anche misero e indegno, diventa lo strumento tramite il quale Gesù Cristo perpetua in sostanza il Sacrifico della Croce. Gesù Cristo si serve delle labbra del Sacerdote, della sua anima, della sua intelligenza, per rinnovare l’atto essenziale del suo eterno Sacerdozio, per rinnovare il Sacrificio della Croce.
Perché, al momento della consacrazione, il Sacerdote dice: «Questo è il mio corpo», e non: «Questo è il Corpo di Cristo»? Non siamo pazzi noi Sacerdoti! Solitamente pensiamo a quello che diciamo. E non abbiamo la minima intenzione di pensare che questo Corpo che teniamo tra le nostre mani sia il nostro proprio corpo. No. Allora perché diciamo: «Questo è il mio corpo»? Perché in questo momento ci sono in realtà due persone. Ma – ed è qui che sta la suprema dignità del Sacerdozio – in questo istante preciso, non c’è più che una sola azione, l’azione di Nostro Signore Gesù Cristo che si serve del suo strumento. Il Sacerdote agisce veramente, come insegna san Tommaso, in persona Christi, nella persona di Cristo. Noi Sacerdoti siamo l’immagine di Cristo: questo è il mistero di fede che rinnoviamo ogni giorno.
È un mistero di fede. Dopo l’Ordinazione da parte del Vescovo, il Sacerdote si rialza con le stesse imperfezioni, gli stessi difetti di prima. Però, a partire da quel momento della sua vita, non può più dire: “Sono un uomo come gli altri”. Non è più un uomo come gli altri. È un altro Cristo. Con le sue parole apre il Cielo e ne fa scendere doni straordinari, fa scendere Dio stesso. Il Sacerdote comanda e Dio ubbidisce! È l’unico capace di farlo. Un Religioso, anche santissimo, ad esempio un san Francesco (il quale non era Sacerdote), può anche pronunciare le parole della consacrazione, ma non ci sarà sopra l’altare che pane e vino. Ma quando un Sacerdote, con l’intenzione della Santa Chiesa, pronuncia le parole della consacrazione, Dio stesso prende il posto della sostanza del pane e del vino, e il Sacerdote, con le sue mani consacrate dall’olio santo, può allora dare Dio ai fedeli (sacer-dos: dare il sacro, dare Dio). «Solo Gesù Cristo può fare ciò che il Sacerdote fa ogni giorno» (Olier).
2) Gli effetti della Santa Messa. Viene offerta per 4 fini: adorare Dio, ringraziarLo, ottenere da Lui le grazie, riparare i peccati. Quindi, due tipi di effetti.
– Gli effetti relativi a Dio (adorazione, azione di grazie) si producono sempre infallibilmente e pienamente, anche senza di noi, anche se il ministro è indegno. Perché l’oblazione con la quale Gesù Cristo si è offerto una volta per tutte sulla Croce, e che è continuata nella Messa, questa oblazione piace a Dio più di quanto Gli dispiacciono tutti i peccati. È l’essenza del mistero della Redenzione.
– Ma ci sono anche gli effetti relativi a noi: la Messa come Sacrificio propiziatorio per ottenere la grazia di convertirsi, come Sacrificio soddisfattorio per ottenere la remissione della pena dei peccati, o Sacrificio impetratorio per ottenere tutte le grazie di cui abbiamo bisogno per santificarci. Questi effetti dipendono molto dalle nostre disposizioni interiori. Dipendono dal nostro fervore. L’influenza di una causa universale, infatti, è limitata soltanto dalla capacità dei soggetti che la ricevono; ora il Sacrificio della Messa, essendo quello stesso della Croce, è causa universale di tutte le grazie. Per esempio, il sole riscalda su una piazza mille persone come una. Ma riscalda di meno colui che si mette sotto un ombrellone!
3) Come unirsi alla Santa Messa? Come fare a non aprire il nostro ombrellone? Ci sono diversi modi di seguire la Messa: si può essere attenti alle preghiere liturgiche (specialmente il Canone romano, talmente bello e ricco, talmente venerabile, che si dovrebbe leggere soltanto in ginocchio; il Canone romano che il Concilio di Trento ha dichiarato infallibile, senza nessun errore). Si può cantare: «Chi canta, prega due volte», diceva sant’Agostino. Possiamo ricordarci la Passione e la Morte di Nostro Signore, considerarci ai piedi della Croce con Maria Santissima. Il Sacerdote soprattutto deve spesso durante la sua Messa pensare e pregare l’Addolorata di aiutarlo, di entrare nei suoi sentimenti.
Ma c’è una cosa importante: unirci all’offerta del Salvatore, Sacerdote principale. E con Lui, offrirLo a suo Padre, ricordandoci che questa oblazione piace più a Dio di quanto Gli dispiacciano tutti i nostri peccati. Offrire anche noi stessi. Tutte le pene della giornata. Specialmente all’offertorio. È il senso della goccia d’acqua versata nel Calice. In una vita si fanno pochi atti importanti, grandi. Però ci sono degli atti molto semplici, che hanno un valore per l’eternità. L’autore dell’Imitazione di Gesù Cristo fa dire a Gesù: «Con le braccia stese sulla croce, tutto nudo il corpo, io ho offerto liberamente me stesso a Dio Padre, per i tuoi peccati, cosicché nulla fosse in me che non si trasformasse in sacrificio, per placare Iddio. Allo stesso modo anche tu devi offrire a me volontariamente te stesso, con tutte le tue forze e con tutto il tuo slancio, dal più profondo del cuore, in oblazione pura e santa».
E il fedele risponde: «Ti offro, Signore, tutto lo slancio del mio cuore, tutto quel che un animo devoto può concepire e desiderare, tutto questo io lo porgo e lo offro a te, con estrema venerazione in pio raccoglimento. Nulla voglio tenere per me, ma voglio immolarti me stesso e tutto quello che ho, con scelta libera e altamente gioiosa». L’Immacolata Addolorata ci aiuti a condividere anche noi questi sentimenti.
Redazione Papaboys (Fonte www.settimanaleppio.it/Padre Dominicus Re)