La vita di John Pridmore cambiò radicalmente quando aveva dieci anni. «Una sera come un’altra tornai a casa e i miei genitori mi spiegarono che dovevo scegliere con chi vivere perché stavano divorziando». Pur di non essere costretto a scegliere fra sua madre e suo padre il piccolo John fece «una scelta». Decise di «non amare più», convinto che «se non avessi più amato, non avrei più sofferto».
Comincia sempre così, con il racconto di una infanzia durissima, tra sofferenze incomprese e anche botte, la testimonianza di questo 51enne ex famigerato gangster londinese, che dopo aver trascorso diversi anni nella malavita si è convertito e adesso è totalmente dedicato a girare il mondo per testimoniare il suo cammino dal criminalità organizzata alla fede.
BMW E MACHETE. Forse per un estremo tentativo di «attirare l’attenzione di qualcuno sul dolore che provavo», dopo la separazione dei genitori Pridmore cominciò a rubare. Ben presto quella divenne la sua attività principale: a 15 anni, dopo un arresto e un breve periodo in un carcere minorile, decise perfino di lasciare la scuola per dedicarsi ai furti, la sola cosa che pensava di saper fare. «Poi, siccome nella mia famiglia non c’era amore, per sopportare prendevo gli antidepressivi, assumendo anche droghe e alcol e qualunque cosa trovassi per uccidere il dolore dentro di me». Arrestato di nuovo a 19 anni, Pridmore diventò aggressivo e finì in isolamento. Ne uscì «più rancoroso e violento che mai», decise di farsi pagare per combattere e così entrò nella criminalità organizzata di Londra. «Iniziai a vivere secondo il classico stile di vita del gangster, con tanti soldi, droga e donne», spiega. «Avevo un attico in St. John’s Wood, una Bmw serie 7, una Mercedes sportiva decappottabile e non riuscivo nemmeno a spendere i soldi che arrivavano». Nella tasca interna della sua giacca di pelle, cucita su misura, John teneva un machete da usare «quando andavo a ritirare i debiti e a punire coloro che non riuscivano a ripagarli».
UN’ALTRA POSSIBILITÀ. Ma inseguendo quella che gli avevano venduto come la felicità, Pridmore si ammalava dentro. Quella vita, ricorda oggi, «mi stava distruggendo lentamente». Poi una notte accadde una cosa strana. Mentre era “in servizio” in un locale del clan il giovane criminale colpì un ragazzo con un tirapugni. Stramazzando, il poveretto si spaccò la testa e «vedevo sangue dappertutto», racconta John. Improvvisamente si era reso conto di una cosa terribile: «Avrei potuto uccidere qualcuno senza che ciò mi toccasse neppure». Tornato a casa, però, era tormentato da «una voce». Qualcuno «parlava al mio cuore», spiega. «Era la voce della mia coscienza, quella di Dio dentro di noi». Fino a quel momento Pridmore aveva pensato a Dio come a una bella favola inventata per impedire alle persone di essere cattive. Quella sera invece «ero di fronte al fatto che Dio è reale». A quel punto il malvivente decise di rivolgersi a lui. «Chiesi a Dio di darmi un’altra possibilità, non tanto perché ero pentito, ma perché non volevo più vivere nella desolazione». Per la prima volta Pridmore stava pregando: «”Finora Dio quello che ho fatto è stato solo prendere, ora voglio dare”. Appena dissi quella preghiera il vuoto nel mio cuore che le droghe, il potere e le relazioni non erano riusciti a colmare fu riempito dall’amore di Dio». Ricorda adesso John: «Non riuscivo a credere che Dio potesse amare qualcuno come me, con tutte le cose terribili che avevo fatto, ma Lui ha continuato a mostrarmi che mi amava e mi accettava».
DAVANTI ALLA CROCE. L’unica persona di fede che Pridmore conosceva era sua madre. Tornò quindi da lei per dirle cose gli era accaduto. «Mi disse che aveva pregato per me ogni giorno della mia vita, ma due settimane prima aveva chiesto a Gesù di prendermi. Se fosse stato necessario, anche di lasciarmi morire, ma di non permettere più che facessi del male a me stesso o a qualcun altro». Qualche giorno dopo, un prete lo invitò a un ritiro. «Non era come mi aspettavo», racconta Pridmore. «Trovai 200 giovani pieni di una gioia che non avevo mai conosciuto prima. Alcuni di loro mi abbracciarono… Beh, non so se conoscete qualche ex gangster, ma noi non siamo molto avvezzi a questa cosa degli abbracci». In quel momento, comunque, il picchiatore comprese l’orrore di tutti i peccati che aveva commesso, «ma più ancora la gioia per il fatto che Gesù mi diceva: “Ti amo e ho passato tutto questo un’altra volta solo per te”». Così, per la prima volta, all’età di 27 anni, Pridmore si confessò: «Capii che era Dio che mi perdonava».
MADRE TERESA. Da allora la vita di John cambiò radicalmente un’altra volta. A partire dal giorno successivo al ritorno da quel ritiro, cominciò subito a lavorare nei quartieri della malavita londinese per togliere i giovani dalla strada. Qualche anno più tardi incontrò anche Madre Teresa di Calcutta in persona. La beata missionaria «mi insegnò come amare ancora, come amare me e gli altri», ricorda l’ex gangster. Che adesso lavora a tempo pieno «per portare speranza agli altri e per mostrare loro che se Dio può amare uno come me, allora può davvero amare chiunque».
Redazione Papaboys (Fonte www.cristianicattolici.net/tempi.it)