Spogliatosi dei comodi panni che aveva restituito al padre al cospetto del vescovo assisano, Francesco dovette assumere vesti penitenziali per qualificare il suo nuovo status. Ma le fonti non sono precise al riguardo: abiti poveri certo, non succinti ma nemmeno troppo lunghi (la lunghezza era segno di una solennità di status e di funzioni che riguardava piuttosto i religiosi e i laici importanti), senza dubbio colorati con materiale tintorio povero o addirittura grezzi, com’erano le vesti monastiche dei cistercensi.
Si parla di un colore “cinereo”, tra il bruno e il bigio: e le reliquie del suo abito presenti ad Assisi e a Firenze ce lo confermano. Ancora una volta, non possiamo fidarci delle fonti iconiche, le quali in genere si adeguano alle vesti usate nelle varie famiglie minoritiche. Anche il “cinerino”, che prima del Vaticano II era usato dai vescovi che provenivano dall’Ordine dei Minori e oggi è stato riscoperto, è storicamente arbitrario.
Ma sulla forma dell’abito del Poverello d’Assisi, forse, le incertezze possono essere minori: per quanto essa dovette venir immediatamente o quasi regolata nel semplice e austero aspetto che ci è familiare. In realtà, è probabile che la veste scelta da Francesco e dai suoi “poveri penitenti di Assisi” avesse l’aspetto di un sacco dritto, munito di maniche ampie ma dritte anch’esse, e non troppo lunga, di una lunghezza che non doveva arrivare troppo sotto al ginocchio. Insomma, un capo di vestiario che conosciamo fin troppo bene fino dall’età romana e che non doveva essere mutato da allora. Era l’abito contadino romano, un capo di vestiario a sua volta d’origine celtica, cioè una vecchia camicia militare smessa: il sagum, termine che ha dato in italiano i due esiti di “sacco” e di “saio”.
Ai tempi di Francesco i legionari romani non c’erano più, ma il sagumera sì. E anche l’uso di cingerselo alla vita con una semplice corda al posto della cintura che, anche se di pelle o di cuoio semplice e dotata di grossolana fibbia, era pur sempre un lusso. In effetti il “vestirsi di sacco” e il cingersi con una corda, magari portata al collo a mo’ di capestro, era appunto un modo per presentarsi in veste di penitente e/o di pellegrino.
Quando poi la fraternitas divenne ordo, la Chiesa provvide anche a formalizzare il sagum disciplinandolo nella lunghezza, nell’ampiezza, nel tipo di cappuccio e nel colore, insomma rendendolo più consono alla solenne tradizione chiericale. Ma Francesco, giullarescamente, usava farsi riparare il suo aggiungendovi delle toppe di colore, che spesso con una nota di humour erano pezzi di vecchia stoffa magari originariamente di lusso.
D’altra parte, l’abito di Francesco aveva una forma precisa. Era la forma della croce. E ciò, da solo, suggerisce molto di più di qualunque altra osservazione.
Redazione Papaboys (Fonte www.sanfrancescopatronoditalia.it/Franco Cardini)