Nei giorni scorsi, un portavoce di Manif Pour Tous Italia, ha partecipato ad un dibattito su omofobia, matrimoni e adozioni con il presidente del “Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli”, davanti ad alcune decine di ragazzi del liceo romano Mameli. Abbiamo denunciato l’inesistenza della fantomatica “emergenza omofobia” e il fatto che le modifiche legislative in corso di approvazione al Parlamento non sono necessarie, a fronte di una piena tutela per qualsiasi persona contro ogni ingiustizia già punita dalla legge. Abbiamo sostenuto con forza le ragioni per cui è bene che la società continui a riservare il matrimonio come riconoscimento alla famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna, in virtù della sua potenzialità procreativa ed educativa, così essenziale alla vita del genere umano. Abbiamo premesso che ogni nostra considerazione non si fonda su giudizi di disvalore dell’omosessualità, ma sull’identità del matrimonio e della famiglia. Ci siamo fatto forti dei documenti internazionali, della nostra Costituzione, delle nostre leggi, della nostra cultura e tradizione antropologica. Infine, abbiamo difeso a spada tratta il diritto dei bambini a crescere con papà ed una mamma, perché al netto di tutte le situazioni negative che pure possono presentarsi in questo contesto, esso rimane quello naturale e normale in cui tutti gli esseri umani nascono e crescono. Gli studenti hanno seguito con interesse e si sono dimostrati assai coinvolti dalla tematica, in senso ovviamente composito a seconda delle opinioni personali. Ciò che ci ha fatto più piacere è che molti ragazzi, al termine del dibattito, hanno chiesto maggiori informazioni sulle nostre attività per poter partecipare.. e alcuni hanno anche confessato di aver riconsiderato le loro opinioni, favorevoli ai matrimoni gay più che altro per assecondare il “trend” culturale di questo momento. Questo per noi resta fondamentale: smascherare quelli che ci accusano di fondare le nostre opinioni su presunte discriminazioni e diseguaglianze, che non ci appartengono minimamente.
Guerra: «Non sapevo niente». Il viceministro si difende dopo le polemiche sugli opuscoli preparati dal dicastero, che sconsigliano alle maestre di raccontare favole ai bambini. Una battaglia politica quella in corso al dipartimento per le Pari Opportunità e nella quale la vicenda degli opuscoli «Educare alla diversità di genere», predisposti per conto dell’Ufficio Nazionale Antidicriminazioni razziali dall’istituto «A.T. Beck» per 24.200 euro, non ne rappresenta probabilmente che la punta dell’iceberg. All’indignazione generale delle famiglie è seguita una nota di demerito del viceministro al Lavoro con delega alle Pari Opportunità, Maria Cecilia Guerra, al direttore dell’Unar Marco De Giorgi. Lui infatti sarebbe il “responsabile” del progetto dei tre libretti, destinati a scuole dell’infanzia, elementari, medie e licei, o meglio colpevole di non averla «informata dell’ampia diffusione» nelle scuole degli stessi. Nei libretti dedicati ai più piccoli ricordiamo, si scoraggia il racconto delle favole tradizionali perché «tendono a promuovere il solo modello di famiglia tradizionale». Ma davvero il viceministro non era stata informata? E l’ampiezza della diffusione dei libretti deve o non deve essere un criterio valido per la spesa di soldi pubblici? Alla prima domanda, noi de Il Tempo abbiamo la risposta: una lettera del 26 luglio 2013 del capo del dipartimento per le Pari opportunità, Ermenegilda Siniscalchi, alla direttrice dell’Istituto A.T. Beck, Antonella Montano. «Gentile dottoressa Montano, ho ricevuto le pubblicazioni del vostro Istituto, realizzate in occasione del progetto “Educare alla diversità a scuola”, in collaborazione con l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali di questo Dipartimento, un prodotto – si legge nella missiva – di cui ho potuto apprezzare l’approccio metodologico, la cura della descrizione dei temi, la completezza e chiarezza dell’esposizione, che fanno di questa pubblicazione un eccellente supporto didattico…». Non solo dunque si era a conoscenza del progetto, nel merito e nel metodo, ma si è mostrato anche particolare entusiasmo. E non sarà un caso che pochi giorni fa, nel bel mezzo della polemica scoppiata proprio in contemporanea alla diffusione dei tre libretti, che è spuntato il nome di Isabella Rauti, già capo dipartimento ai tempi della Carfagna, come papabile “new entry”, eventualità poi smentita dalla stessa Rauti. Per questo, probabilmente, la mossa della Guerra di scaricare sul direttore dell’Unar può essere letta come tattica squisitamente politica, in vista appunto del nuovo governo Renzi. Un boomerang però. Non solo la lettera del capo dipartimento ma anche per la risposta del viceministro che punta a una scarsa informazione sull’ampia diffusione degli opuscoli. Perché spendere ventiquattromila euro per materiale didattico da diffondere «poco»? Nonostante le giustificazioni, il corso di distribuzione dei libretti continua. La Seibezzi a Venezia non ha fatto ritirare i libretti, e a quanto risulta le favole sono in procinto di entrare in tutte le scuole Italiane. La prova più evidente sono le polemiche sorte in Toscana ed Umbria. Cari genitori, la prossima volta quando andate alle urne, ricordatevi, ed usate la penna per restituire dignità e futuro ai bambini!
L’altra faccia della medaglia. “Mi hanno dato dell’omofobo e del fascista e mi hanno minacciato per il mio ordine del giorno in Consiglio comunale a Trento”. A dichiararlo è Claudio Cia, firmatario con una serie di altri consiglieri della minoranza di centrodestra in Consigli a Trento di un ordine del giorno in cui chiede che “i Servizi sociali del Comune, individuati sul territorio casi di omogenitorialità singola o multipla, verifichino l’ambiente di crescita del bambino, in considerazione dell’assenza di una figura materna o paterna, per deliberata scelta che sottende motivi di illegalità e la segnali immediatamente al sindaco”. “Ieri sera – racconta, in riferimento alla seduta del Consiglio terminata senza il tempo per discutere l’ordine del giorno in questione – tre persone mi hanno fermato per strada, senza farmi del male fisicamente, ma di fatto impedendomi di proseguire a camminare. Le minacce sono state a parole, ma ho avuto per la prima volta davvero paura. Mi chiedo se si debba avere paura di esprimere pubblicamente il proprio pensiero. Sono dalla polizia a sporgere denuncia”. “Ma le minacce mi sono arrivate anche via Facebook – spiega – perchè oltre a chi mi ha scritto pubblicamente il dissenso, c’è anche chi con messaggi privati, mi dice che sono demente, omofobo, fascista, che ho bisogno di curarmi. Uno accenna anche al fatto che ho dei figli. Non li minaccia, ma ne parla”. “L’Arcigay grida allo scandalo – prosegue – e io sono consapevole di essere un piccolo consigliere di fronte a un’organizzazione grande, ma dovrebbero leggere anche la premessa, dove dico chiaramente che ‘ogni persona deve poter sentirsi legittimata e non giudicata nell’esteriorizzare e vivere la propria affettività, ma altro sono i figli. Io non attacco i gay, mi preoccupo per i bambini. Quindi sono fermo su quell’ ordine del giorno e non lo rinnego”. “Ma qualcuno ci pensa – domanda – al discorso degli uteri in affitto? Le spese le fanno le donne povere, che per ottenere del denaro farebbero anche questo. Quando parlo di “motivi di illegalità” da individuare intendo questo”. a cura di Giovanni Profeta