Il cappellano del cimitero di Cremona, don Sante Braggiè, si rifiuta di allestire il presepe per rispetto delle persone islamiche e induista. E sbaglia. Perché non c’è rispetto per gli altri se non c’è in primo luogo rispetto per se stessi, per la propria storia, per le proprie convinzioni: quanti morti di quel cimitero non sono stati rispettati dal “non presepe” di don Sante?
Il rispetto è la caratteristica essenziale di ogni rapporto, relazione, convivenza, famiglia, società, parrocchia e funziona così anche al cimitero. Il rispetto è come il cioccolato in una torta al cioccolato: essenziale.
Ma per rispettare l’altro devi in primo luogo sapere chi sei: così conoscerai l’altro, la sua presenza. Perché la sua esistenza sarà la sua coesistenza con me, con la mia gente. Che è anche la sua. Solo così la sua presenza non mi toglierà nulla, anzi aggiunge. Perché il rispetto non toglie ma aggiunge: fa spazio.
Per rimanere nella metafora culinaria, il rispetto non è come il burro che serve alla cuoca per non far attaccare la torta alla tortiera. Non è qualcosa di unto capace di far scivolare; usato così il rispetto diventa quella cosa strumentale a tener distanti le persone, le fedi, le idee, le religioni, altrui. Si dice che “le si rispetta”, che lo si fa “per rispetto” ma in realtà così si spera solo che gli altri ci scivolino via, che non ci rimangano attaccati addosso. Vogliamo levarci dalle scocciature e stare più tranquilli. In quei contesti il rispetto diventa sinonimo di egoismo.
Il rispetto invece è costruire una relazione vera a partire dalla propria identità precisa. Cioè dal conoscere il proprio nome e cognome. Quello anagrafico e quello esistenziale, culturale.
Se tolgo il bambinello, se tolgo il crocefisso, se tolgo anche solo un poster dalla mia stanza, per “evitare”, non sto rispettando, voglio solo stare più tranquillo.
Ora “stare tranquilli” potrebbe essere un ideale da non disprezzare se non fosse che qui stiamo parlando di Natale e di un Dio onnipotente che si è fatto neonato morto di freddo in una stalla. Non molto comodo, giusto?
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da IlFaroDiRoma