L’odore di polvere dei materassi sbalzati via fuori dalle case ridotte in mille pezzi ti assale non appena metti piede in quel che resta delle vie che, fino a sei mesi fa, ospitavano il cuore pulsante della vita, ai confini del Lazio. Quella stessa polvere che avvolge le due file di macerie ammassate ai lati di Corso Umberto I, dove un viavai di uomini e mezzo dei vigili del fuoco e dell’esercito è al lavoro senza sosta, da settimane, per rimuovere i resti di un centro storico senza più volto né anima.
Montagne di macerie
Eppure, sei mesi dopo quel giorno terribile, che ha cambiato per sempre il volto dei Monti della Laga, e nonostante le colonne di articolati che ogni giorno, tutti i giorni, si muovono da Amatrice al deposito di Posta, montagne di macerie sono ancora lì, a ricordare a tutti il volto del “mostro”, come lo ha ribattezzato il sindaco Sergio Pirozzi. Lui, che nella zona rossa, nella sua Amatrice, non ha mai messo piede. Un “fioretto”, al quale il sindaco-allenatore sta tenendo fede con determinazione, e la promessa di ritornare in Corso Umberto I solo quando tutto sarà ricostruito.
Nella zona rossa
E l’impressione, a guardare oggi la zona rossa, a sei mesi dal 24 agosto, l’impressione è che di tempo ce ne vorrà. E tanto. Perché se da una parte si liberano strade e aree che fino a poco tempo fa erano compromesse, dall’altra parte si ha l’impressione che quel poco che ha resistito alla forza del “mostro”, possa venire giù da un momento all’altro. Basta guardare la pendenza della torre di fianco alla chiesa di Sant’Emidio, o alla palazzina subito dietro a quello che una volta era l’Hotel Roma per rendersene conto. E intanto, mentre si cammina per i resti del corso, tra le macerie spunta fuori di tutto: un peluche a forma di cuore con scritto “Ti amo”, regalo di chissà quale momento romantico tra le montagne amatriciane, una porta con su scritto “stiamo bene”, messaggio, forse, lasciato da chi in quei tragici momenti di dolore e morte ha voluto lasciare a soccorritori e familiari. Ai quali basta sentirlo solo un attimo, quell’odore che trasuda da ogni angolo della zona Rossa, per ritornare con la mente a quella notte.
Il tempo si è fermato
Un tratto scolpito per sempre nel cuore dell’appennino laziale. Lo si capisce percorrendo, ancora una volta, la provinciale che da Amatrice torna sulla Salaria, percorrendo tutte le frazioni dell’epicentro sismico. E anche qui la sensazione è che nonostante il lavoro fatto finora la situazione sia sempre la stessa: Retrosi, Collepagliuca, Prato, e poi Sommati, Sant’Angelo, Villa, Cossito, Casale e quindi Saletta; qui il tempo sembra essersi fermato. Per sempre.
I paesi che non ci sono più
Raggiungiamo il centro operativo dei soccorsi di Accumoli, lungo la Salaria; da lì i vigili del fuoco di Frosinone ci accompagnano lungo i tornanti che portano verso il paese che non c’è più. Questa frase, esclamata in mondovisione dopo il secondo graffio del “mostro”, quello del 30 ottobre, dal sindaco Stefano Petrucci, è tutt’altro che un’esagerazione. Accumoli, l’avamposto della provincia di Rieti prima di addentrarsi nelle Marche, è scomparsa davvero. Il miagolio di due gattini, anche loro in cerca di conforto, spezza un silenzio che vale più di ogni parola si possa dire, di fronte a scene apocalittiche di vicoli, viuzze e passaggi cancellati dalle cartine geografiche. Tutto intorno Piazza San Francesco, un tempo ritrovo della comunità accumolese, c’è il vuoto più totale. La sensazione di smarrimento è grande, e aumenta sporgendosi leggermente verso la Salaria, che là in basso, mostra gli sfregi delle tante frazioni appostate sulle colline circostanti: Fonte del Campo, Poggio d’Api, Illica, Grisciano, la distruzione è ovunque nel Comune che fu epicentro del 24 agosto. E dove, fatti salvi i circa 40 allevatori rimasti sul territorio per salvaguardare le fatiche di una vita, non c’è più nessuno. Deserto. Totale.
Cantieri pronti a partire
I cantieri per l’installazione delle casette sono in procinto di partire, tutto intorno, così come quello della nuova area commerciale, là in basso, lungo la consolare. Perché ad Accumoli, oggi, è impossibile immaginare qualsiasi cosa. “Se andiamo avanti così neanche tra 20 anni ricostruiremo qualcosa qui”, ha detto ieri all’Agi il sindaco Petrucci. Difficile dargli torto, una volta visitato quel che resta del suo paese. Poco. Niente.
Fonte www.agi.it