Al via sabato prossimo a Roma l’11.ma edizione della Clericucs Cup, l’ormai tradizionale torneo di calcio all’ombra del Cupolone, che quest’anno vede affrontarsi 18 squadre formate da sacerdoti e seminaristi di 66 Paesi di tutti i continenti.
La manifestazione è promossa dal Centro Sportivo Italiano, con il patrocinio dell’Ufficio Nazionale del tempo libero, turismo e sport della Cei. La Radio Vaticana è media partner. L’edizione di quest’anno è ispirata alle parole di Papa Francesco: “Mettiamoci in gioco nella vita come nello sport”. L’evento è stato presentato stamane nella sede della nostra emittente. Ascoltiamo l’intervento di don Alessio Albertini, consulente ecclesiastico nazionale del Centro Sportivo Italiano:
C’è sempre questo desiderio, ogni volta che si organizza questo torneo, di dare uno slogan che lo riassuma. È anche l’occasione per dire che cosa si nasconde sotto un’attività sportiva, perché noi vediamo il gesto tecnico, vediamo il goal, vediamo la manifestazione della bellezza, però tutto questo è sostenuto, un po’ come succede con un iceberg: tu vedi soltanto l’estremità che fuoriesce dall’acqua, ma sotto ci sono tante cose che lo sostengono. E una di queste è proprio il desiderio, la voglia di mettersi in gioco. Il Papa lo ha detto a noi il 7 giugno del 2014 – noi, come Centro Sportivo Italiano – di non accontentarci di un pareggio mediocre, quegli 0-0 che non vogliono dire niente, che annoiano, che fanno stare lontano, però l’ha ripetuto a più riprese in tante occasioni ai giovani. Non da ultimo, quando ha mandato questa lettera in preparazione per il Sinodo dei giovani, dove riferendosi alla chiamata di Abramo che dice: “Vattene”, il Papa dice: “Bisogna amare il rischio, essere audaci”.
In altre circostanze il Papa ha detto ai giovani che non bisogna stare al balcone, usando un suo neologismo “balconear”, cioè guardare la processione che passa sotto, da semplice spettatore; ha detto anche di non essere cristiani in pantofole seduti sul divano, come se non avessi il coraggio di sporcarti i piedi, le braccia, cosa necessaria. E allora abbiamo detto: “Questo è un messaggio che, attraverso i preti, che ci auguriamo non siano mai ai margini della vita, ma nel cuore pulsante, venga dato a tutti i giovani, venga trasmesso a tutti coloro che amano lo sport”.
Mettersi in gioco, nello sport come nella vita, perché tante volte lo sport è capace di sovrapporsi alla vita, non di sostituirla, ma di far capire qualcosa di importante. Credo, se me lo concedete, in questa occasione di dire: “Mettersi in gioco nello sport, come nella vita” nonostante le difficoltà, perché mettersi in gioco significa osare sfidare le difficoltà, soprattutto in un tempo difficile come quello in cui stiamo vivendo, non bisogna temere di affrontare queste difficoltà, mettersi in gioco significa anche sfidare la paura che fa tremare le gambe”. Chi si mette in fioco è capace di regalare speranza e noi siamo chiamati a questo soprattutto come preti, a dire: “Non rassegnarti, non pensare che sia finito tutto”, a regalare fiducia. È meglio mettersi in gioco che stare a guardare.
Fonte it.radiovaticana.va