Ad Ariccia, gli Esercizi spirituali per il Papa e la Curia Romana sono proseguiti nel pomeriggio con la seconda meditazione dedicata al tema: “Le ultime parole di Gesù e l’inizio della Passione” nel Vangelo di Matteo. Il predicatore, il padre francescano Giulio Michelini, ha ricordato l’importanza di coniugare aiuto ai poveri e preghiera. In mattinata la prima meditazione.
“Terminati tutti i discorsi”, Gesù annuncia che sarà consegnato per essere crocifisso. Il brano del Vangelo di Matteo da cui parte la meditazione pomeridiana dà l’opportunità a padre Michelini di soffermarsi sul silenzio di Gesù davanti agli oppositori, caratteristico della Passione.
Il silenzio di Gesù nella Passione e i silenzi che invece non dovrebbero esserci
Potremmo dire che le parole in alcuni momenti non servono affatto come quando gli interlocutori sono dei potenziali antagonisti o il potere non permette di pronunciarne, sottolinea. Anche Francesco d’Assisi dice ai frati di stare fra gli infedeli in due modi: annunciando il Vangelo se possono oppure con la loro semplice presenza vivificante. A volte anzi le parole possono danneggiare, osserva, come diceva il Baal Shem Tow, rabbino e ritenuto il fondatore del moderno chassidismo: “Le parole che escono dalle labbra dei maestri e di coloro che pregano, ma non da un cuore rivolto al cielo, non salgono in alto, ma riempiono la casa da una parete all’altra e dal pavimento al soffitto”. Gesù quindi tace di fronte a chi lo riteneva un bestemmiatore, a chi lo vuole distruggere. E’ un silenzio che si spezza con il colpo di lancia e il grido con cui termina la sua esistenza terrena. Ci sono però vari tipi di silenzio, nota il francescano: c’è un silenzio rancoroso di chi medita vendette oppure il silenzio che, come disse Elie Wiesel, “non aiuta mai la vittime”. Quello di Gesù nella Passione è un silenzio disarmante, disarmato e sereno. Ma oltre al silenzio di Gesù, c’è “il silenzio più bruciante, quello di Dio”. E Gesù si affida a quel silenzio del Padre. Bisogna quindi chiedersi di che tipo siano i propri silenzi:
“Pensando al silenzio di Gesù, mi domando anzitutto se comunico la fede solo con parole o se la mia vita è evangelizzante. Mi chiedo poi di che tipo sono i miei silenzi, e in relazione all’ufficio ecclesiale che svolgo, se sono colpevole di silenzi che non ci sarebbero dovuti essere”.
Non salvaguardare la facciata a scapito delle persone
Altri personaggi che compaiono in questo brano del Vangelo di Matteo sono Caifa, i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, che decidono di catturare Gesù ma non durante la festa per evitare una rivolta. Non si tratta di stigmatizzare gli ebrei, perché questo atteggiamento riguarda una gerarchia religiosa che può esserci in ogni forma di istituzione umana, spiega padre Michelini. Si tratta di un atteggiamento che perde la prospettiva giusta credendo di servire Dio. Emerge quindi il confronto fra due logiche: da una parte c’è Gesù, un ebreo osservante ma laico che si prepara a celebrare la Pasqua e dall’altra i sommi sacerdoti che si preparano a uccidere un innocente, che si preoccupano della festa nel senso dello svolgimento esteriore. La domanda che invita a porsi padre Michelini è se si è “professionisti del sacro” scendendo a compromessi pur di salvaguardare la facciata, l’istituzione, a scapito dei diritti delle persone.
La donna che unge il capo di Gesù e i poveri
Subito dopo, il Vangelo propone l’unzione di Betania: una donna versa del profumo prezioso sul capo di Gesù. La scena viene trasmessa da tutti e quattro i Vangeli anche se in con alcune differenze. Gesù difende questa donna che sembra l’unica a capire quanto sta per accadere a Gesù, e fa un gesto fortemente simbolico. L’unzione è un’unzione regale ma può essere interpretata anche come un’unzione funebre. Gesù loda il gesto di quella donna e respinge le argomentazioni di chi dice che i soldi spesi per quel profumo caro potevano essere dati ai poveri perché, come ricorda Sergio Quinzio, quello era il momento per servire Gesù. Padre Michelini quindi ricorda i tanti poveri: da quelli che non prendono parte alle liturgie perché anziani o ammalati a coloro che bussano alle nostre porte chiedendo anche solo di essere ascoltati:
“Molti poi sono quelli che non hanno il coraggio di bussare alle nostre porte, e verso i quali dovremmo andare noi. Se poi siamo sinceri e ci guardiamo dentro, non possiamo non mettere anche noi tra quei poveri: ognuno è, in fondo, un povero per l’altro. Le parole di Gesù dicono che la sua missione non termina con la sua esistenza storica, e infatti procede con l’impegno della comunità credente verso tutti i poveri, noi compresi”.
Amare Dio e il prossimo
Un’ultima suggestione padre Michelini racconta di averla ricevuta da una clarissa in merito proprio allo “spreco” del profumo prezioso da parte della donna che unge Gesù. Quella donna, come le claustrali rende visibile con tutta la vita il dono che per primi abbiamo ricevuto da Gesù: che tutto si è offerto a noi. Quindi l’esortazione a tenere assieme l’amore per Dio e quello per il prossimo:
“Mi domando se scelgo solo una parte – quella più congeniale a me, o quella più ‘facile’, e quindi ungo i piedi a Gesù, magari con la liturgia, la preghiera, tralasciando i poveri, oppure mi dedico ai poveri, ma dimentico di pregare e dare onore a lui. Riesco a tenere insieme l’amore per Dio e quello per il prossimo”.
Il servizio è di Debora Donnini per la Radio Vaticana