Sonia Scivales e il marito Gianluca D’Alessio. Quando è rimasta incinta ha subito sospeso le cure. Ora che Marco è nato le ha riprese. «L’unica certezza è che amiamo nostro figlio»
Non smettono di guardarsi, di sorridersi. Di cercare, in ogni gesto e in ogni parola, l’appoggio l’uno dell’altra. Sono una coppia bella, Sonia Scivales e Gianluca D’Alessio.
Con una casa arredata con gusto e sacrifici in uno dei quartieri difficili di Brindisi. Con un amore che dura da anni, un matrimonio e una carrozzina blu, finalmente piena, che staziona davanti alla porta d’ingresso.
Marco dorme, assaporando la quiete che accarezza i suoi primi giorni di vita, con il viso girato verso quella luce tenue che filtra dalla finestra affacciata sul terrazzo e sui sogni. Quelli che i suoi genitori hanno coltivato per lui, prima ancora che nascesse. E che oggi, coraggiosamente, continuano a raccontare.
«Per noi è un miracolo, un dono, un regalo di Dio», raccontano. La scoperta di aspettare il bambino, così voluto da rivolgersi agli specialisti dell’infertilità della clinica Salus, di Brindisi, è insieme tanta gioia e tanta paura. «Ci avevamo pensato, avevamo fatto accertamenti, esami, preso tutte le informazioni, ma poi è arrivato naturalmente quando meno ce lo aspettavamo. Ed è lì che è cominciata la paura, insieme con la felicità».
Perché Sonia ha il Parkinson e si sta curando, mentre con il suo Gianluca prova a mettere insieme i pezzi di una vita che, inaspettatamente, sta diventando sempre più in salita. «I farmaci che prende mia moglie sono in parte sperimentali. È raro che questa malattia si presenti in un’età così giovane e la sua terapia è diversa da quella che si usa comunemente. Ci avevano detto che queste medicine inibivano una gravidanza e che comunque gli effetti sul feto potevano essere imprevedibili».
I primi mesi passati costantemente con il cuore in gola, «anche se avevo sospeso subito l’assunzione di tutto», fino all’ecografia che finalmente li tranquillizza. «Non ci abbiamo pensato un istante a sospendere la terapia, questo bambino per noi era troppo importante». Ma senza medicine tornano i tremori, torna lo star male, «tranne i due mesi centrali, per tutto il resto della gravidanza è stata malissimo», confida Gianluca. «Io, però, mi dicevo che potevamo farcela, che c’erano mamme affette da malattie ancora più gravi che erano riuscite a dare la vita ai loro figli. Perché noi non avremmo dovuto farcela?».
«LA VITA CHE AVEVO DENTRO»
Scherzano sui sintomi della malattia, Sonia e Gianluca: «Lui mi diceva che nessun bambino è mai stato cullato così a lungo e quasi ininterrottamente come il nostro. Soltanto durante il sonno notturno riuscivo a smettere di tremare. Non è stato semplice, ma la forza me l’hanno data mio marito e la vita che avevo dentro».
Non smettono di ringraziare i medici, «e tutta l’équipe della clinica che ci ha seguito. Per noi sono stati una vera famiglia. Il dottor Giancarlo Locorotondo lo consideriamo il nostro personale angelo custode», sottolinea Sonia con un sorriso.
«Ho seguito tutti i corsi», racconta ancora, «volevo essere il più possibile presente e attenta. Avevo tutti attorno a me, ostetrica, anestesista, ginecologo, pediatra. Ho cercato di imparare il più possibile, anche cosa fare nei primi giorni dopo il ritorno a casa. Per essere davvero una mamma come tutte le altre».
Sonia ha ripreso a curarsi, «i sintomi del Parkinson stanno regredendo, ma ci vuole tempo. La terapia deve essere riassunta gradualmente dopo una sospensione così lunga», dice timida spostandosi da una stanza all’altra.
In cucina tutto l’occorrente per il latte del piccolo, «perché non posso allattarlo, con i farmaci che prendo. Ma faccio tutto il resto». Marco le si accoccola addosso in cerca di tenerezza. «Strilla solo quando lo laviamo, si vede che è allergico all’acqua», scherza papà Gianluca.
UN APPOGGIO FONDAMENTALE
«Noi siamo stati importanti», aggiunge il dottor Giancarlo Locorotondo mentre, anche lui seduto in cucina, si informa del peso del neonato, «ma tanto merito di questo miracolo è loro. Del loro coraggio e anche della loro ironia.
Sono pochi gli uomini che sanno sdrammatizzare così nei momenti più delicati. La mamma è stata molto coraggiosa, ma il papà ha dato un appoggio fondamentale».Un coraggio che dovrà sostenerli soprattutto nei prossimi anni. «Con le cure i sintomi del Parkinson si possono tenere a bada per anni, ma non sappiamo cosa ci riserva il futuro».
Sonia parla piano, a volte si ferma. Timida e riservata, «perché non ci siamo mai messi in mostra e se ora raccontiamo è per dare coraggio a chi si trova nella nostra situazione. Non ci sono garanzie per il futuro. Io non so ancora se riprenderò il mio lavoro, non so nemmeno come starò domani. L’unica certezza è che amiamo nostro figlio e avremmo fatto e faremo per lui qualunque cosa. La speranza ci ha sempre sostenuto e confidiamo nel fatto che la ricerca trovi finalmente una cura per la mia malattia. Non sogniamo grandi cose. Desideriamo soltanto continuare ad amarci come ora e vedere nostro figlio condurre una lunga vita felice e sana».
A cura di Annachiara Valle per Famiglia Cristiana